22 giugno 2007

Io, flickr e la censura


Picture by Iguana Jo.
Ora che la tempesta pare passata voglio provare a capire cosa è successo su flickr in questi giorni.

In breve: la settimana scorsa vengono annunciate le localizzazioni in sette lingue del sito di flickr. Contestualmente a tale implementazione gli utenti registrati in quattro distinte nazioni si trovano improvvisamente impedito l'accesso a tutte le immagini non considerate sicure. (piccola precisazione: tutte le immagini su flickr vengono categorizzate per il loro contenuto in safe, moderate, restricted, non sto qui a spiegare i metodi parecchio discutibili per assegnare le immagini in queste categorie).
Questa ha fatto giustamente imbestialire gli utenti interessati, soprattutto quelli tedeschi non avezzi a tali forme di censura, che dall'oggi al domani si sono visti limitare univocamente la loro esperienza flickriana.

Da qui è partita una campagna massiccia di protesta. E visto la latitanza dello staff flickriano la cosa ha preso dimensioni piuttosto estese.

Alla fine la risposta da flickr è arrivata, attribuendo le responsabilità di tale censura alla legislazione tedesca particolarmente rigida riguardo l'accesso di minorenni a contenuti _maturi_ (diciamo così, che non saprei come meglio definirli).
È stato fatto notare come fossero decine i siti tedeschi che permettevano la fruizione di tali materiali senza incorrere in sanzioni, l'unica precauzione adottata è il controllo dell'età al momento dell'accesso al sito.

Dopo qualche altro migliaio di messaggi più o meno attinenti al problema è arrivata la soluzione di compromesso: gli utenti tedeschi potranno scegliere di accedere alle immagini safe o al massimo alle immagini moderate. Le immagini restricted sono "per ora" (in attesa di qualche innovazione tecnica ad hoc, parola di flickr) riservate alla visione privata.

Fin qui la cronaca.

Quello che però più mi ha sorpreso è stata la controcampagna innestata da alcun utenti che si son detti irritati dalla protesta anti-censura in corso.
I toni erano i più svariati, dal "cosa protesti se non sai nemmeno di cosa si sta parlando", al "flickr è un'azienda privata, può piacere o meno, ma non ha alcun dovere verso i suoi clienti", al "ti pare che sia un buon motivo protestare per l'impossibilità di vedere qualche tetta quando in giro ci sono intere nazioni che sono messe molto peggio" etc etc etc…
Il tutto accompagnato dal cattivo sapore del moralismo della domenica, quello per cui basta che qualcuno provi a fare qualcosa che subito un altro gli da addosso, quasi a scaricare in questo modo la coscienza e/o i nervi e/o le proprie personali idiosincrasie.
(sono stati davvero in pochi quelli che mi hanno colpito per le motivazioni addotte alle loro critiche, questi li ringrazio perché m'han dato comunque da riflettere)

Visto che ho aderito alla protesta provo qui di seguito a spiegare i miei motivi, copincollando da qualche intervento fatto in rete (detto per chi magari vi ritrovasse cose già lette).

- Personalmente sono enormemente debitore verso flickr per la mia crescita fotografica e umana di questi ultimi due anni e mezzo. Questo non significa subire passivamente ogni decisione cali dall'alto, ma sentirsi parte di una comunità viva e dinamica in grado, se serve, di far sentire la propria voce.
Una manifestazione massiccia di dissenso come questa ha molte possibilità di successo proprio perché colpisce il punto debole della corporation: la sua necessità di badare principalmente (unicamente?) al profitto.
Per aziende come Flickr il profitto si basa fondamentalmente sulla reputazione che sono in grado di creare intorno ai propri servizi. E se una buona reputazione ci mette un sacco di tempo a formarsi è invece capace di crollare in un attimo per una qualsiasi cazzata l'azienda non sia in grado di controllare.
A tal proposito questo caso (flickr vs utenti tedeschi incazzati) diventerà a mio avviso un esempio da manuale.

- La protesta non è inutile. Se vi ho aderito è per il semplice motivo che mi pare ci siano delle concrete possibilità di soluzione. (mentre protestare contro il governo cinese, o contro l'FBI non credo avrebbe le stesse possibilità di riuscita). Oltretutto questa è una cosa tangibile, la germania non è la cina, è un paese nel quale possiamo tranquillamente riconoscerci.
Inoltre alla questione "censura" va sommata la gestione del problema da parte di flickr/yahoo e la mancanza di rispetto nei confronti dei suoi utenti.
Tutto ciò oltre all'ovvio dibattito sulla natura profondamente repressiva di ogni forma di censura.

- Il fatto che ci sia sempre una causa migliore/più importante/più soddisfacente per cui battersi è la scusa più vecchia del mondo per non fare un cazzo.


Spero di aver riassunto correttamente l'andamento della questione. Cosa succederà ora? Non lo so, per quanto mi riguarda il futuro non è ancora stato scritto (thanks Joe!).


21 giugno 2007

Come Kowalski, meglio di Kowalski


A screen caption from Vanishing Point
Originally uploaded by WANNABTRAINBUFF.
Kowalski era il protagonista di Vanishing Point (Punto Zero in italiano) che è probabilmente il miglior film automobilistico io abbia mai visto. Punto Zero è una micidiale pellicola del 1971 in cui due automobili e i rispettivi piloti si affrontano in una sfida mozzafiato per le strade del west. Come moltissime altre opere del periodo è impregnato di una forte componente politica, e come altrettanti film del genere è un film votato all'autodistruzione.
Ma perché parlarne qui e ora?
Perché ieri ho visto Death Proof (A prova di morte), l'ultima fatica di Quentin Tarantino, e il nome di Kowalski e la sua automobile sono citati, evocati e utilizzati fino al midollo (o all'ultima saldatura del telaio della sua Dodge, per essere corretti). Già questa è una gran cosa, che era un pezzo che non ripensavo a quel film, e assaporarne il ricordo è stata una bella sensazione, ma ovviamente Tarantino non è regista da operazioni nostalgiche. Anzi. Tarantino ce la mette tutta per farci sentire cos'era il cinema di una volta, per farci vedere come si possono recuperare e restituire le emozioni brutali di quel tipo di film a questo nuovo secolo, per farci toccare con mano il suo amore per il Cinema.

Perché ormai oggi Tarantino è il Cinema. Almeno quel tipo di cinema che ormai non esiste più, quello che per due ore godi come un riccio per il semplice e diretto trasferimento di emozioni dallo schermo alla tua poltroncina. Il tipo di cinema che non va alla ricerca di significati nascosti, di facili ammiccamenti, di allineamenti modaioli.
Quello che ti spara dritto in faccia tutta la sua capacità di sorprenderti, di orrificarti, di divertirti.

Che poi è vero: Tarantino ricicla i clichè dei b-movie di tutto il mondo. Ma la sua capacità cinematografica è tale che riesce a distillare, anzi a sublimare, tutti quei temi triti e ritriti (donne e motori e sesso e violenza e morte e vendetta e donne e motori) per creare qualcosa di radicalmente nuovo, almeno per questi anni. Opere che raggiungono l'astrazione formale, che ormai volano al di fuori di qualsiasi confine terreno per innalzarsi ben al di là dello splatter e del road-movie da cui provengono per diventare cinema assoluto. Film che non lasciano dubbi o domande o chissà quali meditazioni interiori, film il cui Messaggio è il film stesso, film talmente immersi nel mondo del cinema da non necessitare più di alcuna realtà esterna.
Film che sfidano lo spettatore critico, che lo obbligano a confrontarsi con tutto il cinema visto fino a quel momento. Che operano una scissione netta nel pubblico: da una parte chi ama il cinema, dall'altra chi va a vedere i film.

Per tutti questi motivi non c'è molto da dire su Death Proof, bisogna vederlo.
Al limite posso segnalare che era dai tempi di Jena Plissken che Kurt Russell non era così figo. Che vedere all'opera Zoe Bell è davvero da brividi. Che varrebbe la pena vedere i film anche solo per i dialoghi che lo caratterizzano.
Insomma andate a vederlo, poi mi saprete dire.

19 giugno 2007

Cosmonisti di tutto il mondo, unitevi!


Picture by tsogy.
Come sanno bene gli affezionati lettori esistono svariate declinazioni del genere fantascienza. Da quella avventurosa a quella hard tutta scienza e tecnologia, da quella umoristica a quella impegnata. Le librerie degli appassionati sono piene di space opera o cyberpunk, di viaggi nel tempo o speculazioni sociali. Esistono le utopie, le distopie, le ucronie, la fantascienza arriva addirittura a permeare romanzi dai toni melanconici o nostalgici… Insomma, di fantascienza ce n'è per tutti i gusti.
Non mi ero però ancora imbattuto in un libro di fantascienza dolce.
Come definire altrimenti questo Manifesto dei Cosmonisti dello svedese Mikael Niemi?
Gli episodi narrativi che compongono il volume (che chiamarli racconti darebbe un'idea di scarsa omogeneità e romanzo non renderebbe la sostanza dell'opera) affrontano i più svariati canoni della fantascienza, dal volo spaziale al primo contatto, dallo shock del futuro alle teorie cosmologiche più sfrenate, ma lo fanno con una leggerezza, un brio e una dolcezza che non m'è mai capitato di trovare in altre opere di genere. Il paragone più calzante a cui riesco a pensare è forse con il miglior Stefano Benni, ma senza l'ossessione per la (satira) politica. O forse, ancora meglio: non so se tra voi c'è chi frequenta il salottino verde linkato qui a fianco, ecco… se la Lui scrivesse fantascienza probabilmente sfornerebbe racconti come questi di Niemi.

Fantascienza decisamente di periferia verrebbe da dire, molto lontana - anche geograficamente - dalle esigenze commerciali che caratterizzano la produzione anglosassone, scritta da un autore che deve averne letta molta e vista ancora di più. E fantascienza che compare piuttosto sorprendentemente in una collana specializzata che pare essa stessa abbastanza stupefatta dallo strano contenuto del libro. Questa almeno è l'impressione nel leggere la postfazione della traduttrice che spara nomi piuttosto casuali (Adams e Bradbury, che ok, magari per certi versi c'entrano pure… ma Dick???) e non sembra molto a suo agio con la materia narrata. In ogni caso questa de Il Manifesto dei Cosmonisti è fantascienza sopraffina che mescola abilmente il sapore dei vecchi classici con una sensibilità decisamente attuale e un punto di vista inconsueto che dona nuova freschezza a panorami che ai lettori più smaliziati potranno apparire come già ripetutamente visitati.

Sarà il fascino dell'estremo nord, terra di contrasti estremi e gusti semplici, che ben rieccheggiano tra le pagine piene di meraviglie e strani soggetti che animano la lettura, sarà la capacità dell'autore di lasciarti sempre sorridente pur senza chiudere le porte al dubbio e all'oscurità che ci circondano. Saranno tutti i dettagli curiosi e i particolari stravaganti, ma per me Il Manifesto dei Cosmonisti s'è rivelata una lettura davvero piacevole.

Just a Tree



Prendo tempo, nell'attesa che qualcosa succeda.

Giusto per capire quanto mi sto inguaiando, contemporaneamente alla protesta per il comportamento di Flickr abbiamo fatto partire con Dario Tonani un nuovo gruppo dedicato a Infect@.

Stavo chiedendomi che collegamenti ci siano e quanta coerenza sia rintracciabile tra le due cose. La risposta è: nessuna. Però non mi sento troppo in colpa. Fintanto che dura - Flickr intendo - è meglio sfruttarlo. Quando tutto sarà finito troverò, spero, un nuovo giocattolo per mostrare al mondo quel che so fare, quel che ho da dire.


18 giugno 2007

Al campo di rugby



Visto che la questione flickr/censura è tutt'altro che chiusa ho deciso di postare qui qualche foto, sperando che nel frattempo le cose si risolvano per il meglio.

15 giugno 2007

Fly Away


Picture by Iguana Jo.
Per la prima volta da quando sono approdato su flickr sto pensando seriamente di andarmene.

Quello che sta succedendo in queste ore (in questi giorni) mi sta nauseando. Dopo due giorni dall'implementazione di questa sorta di censura preventiva che colpisce solo alcuni utenti non è ancora arrivata da parte dello staff di flickr nessuna spiegazione esaustiva sulle cause e i motivi che hanno portato a questa situazione.
A prescindere da ogni altra considerazione, per me è intollerabile l'idea che qualcuno si arroghi il diritto di decidere per gli altri cosa è bene e cosa è male, e nello specifico flickriano cosa sia visibile e cosa non lo sia.

Di sicuro si presentasse un'alternativa valida farei le valige oggi stesso. Ma non credo che un'alternativa esista (o esisterà nel prossimo futuro): ormai la censura preventiva in rete è un fatto, non un'ipotesi.

L'unica cosa che davvero mi frena dall'andarmene è il pensiero di quanto andrei perdendo. E non parlo solo di foto, visibilità e occasioni. Parlo delle persone, quelle che ho conosciuto, quelle che non avrei l'opportunità di conoscere. Penso alle possibiltà di crescita, umana e artistica, che flickr mi ha offerto in questi due anni e mezzo.

Avete una soluzione?


08 giugno 2007

O.P.G. - Reggio Emilia


Picture by Iguana Jo.
Saliamo le scale, al buio. Questa parte dell'edificio è in via di ristrutturazione, probabilmente l'ingresso da cui siamo entrati è lo stesso che utilizzano i muratori.
Un paio di rampe e c'è il primo corridoio, qui la ristrutturazione si ferma sulla porta, se ci fosse una porta.
La vista è quella che ci accompagnerà per la prima parte della visita. Muri scrostati e finestre spalancate, vetri rotti e merda di piccione, sporco da abbandono, non da frequentazione umana.
Siamo nell'ala amministrativa della struttura, le porte delle stanze (uffici?) sono normali, di legno, gli ambienti sono vuoti, l'unico dettaglio che appare quasi nuovo è l'enorme insegna DIREZIONE appesa sopra l'ingresso, sfondato, che da accesso agli uffici.
Più oltre si iniziano a vedere le prime inferriate. Siamo in un corridoio ambulatoriale estremamente luminoso, con tutto un lato che si affaccia sull'esterno. Le grate alle finestre qui sono ovunque.
Il corridoio è interrotto da cancellate di ferro ogni 10/15 metri. Le pareti scrostate sono colorate di un azzurro ospedaliero. All'ingresso di una sezione c'è la vecchia scritta Laboratorio Scientifico che incute qualche timore e forse ci prepara all'ingresso della sezione carceraria propriamente detta.

Ora i corridoi sono decisamente più oscuri, le uniche finestre si aprono alle due estremità del passaggio. Il soffitto è a volta, parecchio alto, tutto è dipinto nei toni del bianco e del grigio, sui due lati si aprono le innumerevoli celle di detenzione e ricovero. La stessa struttura si ripete su più piani. Poche celle si distinguono per dimensione o posizione, forse erano adibite a usi speciali (rabbrividisco involontariamente), ma tutte sono diverse tra loro per qualche particolare: colpiscono le mattonelle dell'angolo lavandino/turca dei colori più disparati (probabilmente non per scelta ma per l'uso di materiali di recupero), l'altezza del soffitto, la presenza di piccoli pensili. Tutte le celle sono ben illuminate, che le finestre in questo edificio si sprecano, tutte sono circondate da sbarre di ferro, anche la porta di legno è ovviamente rinforzata, in tutte doveva esserci un televisore appeso in alto, di cui resta unicamente il supporto. Il dettaglio più inquietante, l'unico davvero disturbante, è la presenza costante in tutte le celle di uno o più spioncini di vetro perennemente aperti ad osservare la vita dei pazienti/carcerati. Non credevo si arrivasse a tanto…

La nostra visita termina al piano terra, passiamo per una sala, forse una ex-cappella, almeno a giudicare dall'enorme crocefisso in bella vista, che con il grande schermo teso in fondo alla stanza doveva servire come sala cinema; passiamo dal parlatorio, dal bar - per gli impiegati immagino - e poi, attraverso un altro lungo corridoio, arriviamo alle cucine, per finire poi nel colorato ingresso principale.

L'ospedale psichiatrico giudiziario di Reggio Emilia non ci riserva altre sorprese, Non abbiamo visitato gli altri edifici della struttura, quelli costruiti successivamente al corpo originale, nato come convento, passato nell'uso a fortezza per poi diventare carcere ospedale per tutto il secolo scorso.

Queste mura devono aver assistito a storie terribili, ora però molte delle inquietudini e dei fantasmi se ne sono andati insieme agli arredi e ad ogni altra traccia di presenza umana. Alcune sezioni sono invase dai piccioni, in un bagno il guano arriva al mezzo metro d'altezza, i pochi oggetti rimasti riguardano più la vita burocratica della struttura che non quella delle persone ricoverate. Di queste ultime rimane appena qualche brandello di poster appeso a un muro e un nome o due nei registri o nelle schede dimenticate.
Ma l'edificio non ha perso nulla del suo fascino sinistro e l'immaginazione può spaziare tra le celle, i corridoi, gli ambulatori, luoghi adatti a esercitare la memoria, che qui dentro le persone venivano dimenticate, rimosse dalle nostre civili coscienze. Rimane solo la curiosità di sapere se qualcuno uscito da queste mura sia riuscito a conservare uno straccio di dignità, a rifarsi una vita, a rimanere libero.


05 giugno 2007

Rapporto letture - Maggio 2007


Picture by Iguana Jo.
Mese positivo sul fronte letture questo maggio 2007. Romanzi e racconti magari più leggeri del solito ma con una qualità di scrittura sembra ben oltre la sufficienza.

Ma andiamo in fila. Di Accelerando di Charlie Stross e di Infect@ di Dario Tonani ho già scritto (vedi link), l'ultima lettura fantascientifica del mese è un classico: Largo! Largo! di Harry Harrison. Un romanzo decisamente consigliabile, scritto con uno stile pacato e avvincente, che descrive la progressiva dissoluzione di qualsiasi speranza nella New York sovrappopolata alla fine del XX secolo. Scritto negli anni '60 periodo in cui la crisi demografica calamitava l'interesse di molti scrittori di fantascienza Largo! Largo! si distingue per l'approccio noir, per il realismo dei dettagli e per la mancanza di qualsiasi retorica salvifica di solito ben presente nella sf americana del periodo. Una bella sorpresa insomma.

Cambiando totalmente genere ecco gli ultimi due volumi della trilogia di Bartimeus di Jonathan Stroud, L'occhio del golem e La porta di Tolomeo in cui si portano a compimento le vicende del giovane mago Nathaniel, del demone Bartimeus e si scopre il catastrofico esito delle trame di potere all'interno della nomenklatura magica che opprime l'Inghilterra.
Romanzi leggeri certo, adatti ad un pubblico di tutte le età, ma con un sottotesto molto interessante su potere, libertà e rivoluzione (mica robetta, eh!). Non male per un ciclo fantasy pubblicato sulla scia di Harry Potter, ma che riesce a splendere di luce propria illuminato com'è dalla presenza di un demone assolutamente brillante e da quella di un giovane mago che per una volta non si merita tutti gli onori della cronaca.

Infine un po' di violenza texana per concludere in bellezza questo mese di letture: ho finalmente letto In un tempo freddo e oscuro del grande Joe Lansdale. Nei racconti che compongono l'antologia ci sono tutti i temi e le situazioni cari all'autore texano: dal noir campagnolo, alla fantascienza tenebrosa, dal racconto brillante dalle venature splatter alla violenza più cupa e disturbante. Un volume per ribadire ancora una volta le capacità di scrittore di Lansdale, nell'attesa di qualcosa di più corposo e recente.

Per il mese prossimo attendetevi almeno un paio di antologie, con sapori tra il retrò fantastico dalla vecchia Inghilterra e lo stupefacente andante da quello che si appresta a diventare il mio scrittore serio (!) preferito.

04 giugno 2007

Intervista al maestro Pippo Casarini


Picture by Iguana Jo.
Ho provato a cercare in rete qualche informazione riguardo Pippo Casarini. Non ne ho trovate. Ho quindi pensato bene di riportare qui l'intervista dei bambini della scuola elementare Gramsci di Modena al maestro Pippo Casarini pubblicata nel giornalino scolastico.

I bambini delle classi terze hanno partecipato al grande spettacolo “L’ombelico del mondo…perché tutto è uno” che si è tenuto il 29 maggio al Teatro Comunale, per festeggiare il cinquantesimo anno della scuola Collodi che, come le scuole Gramsci e Bersani, fa parte dell’XI Circolo.
Per questa occasione avevamo preparato, con l’esperto Laura Polato, la versione jazz della canzone “44 gatti”.
Forse non tutti sanno che l’autore è modenese: Pippo Casarini, un simpatico nonno (chissà se si offende) di 82 anni.
Dopo aver studiato la canzone, e non è stato molto facile perché la versione jazz è diversa da quella tradizionale, avevamo invitato il maestro Casarini a scuola per avere il suo OK e per fargli alcune domande.
Così è nata questa intervista.
Come è nata la canzone “44 gatti”?
Mi sono sempre piaciuti i gatti e perfino quando ero in India avevo due gattini neri bellissimi. Poi, quando ero a Nonantola a insegnare mi è venuto in mente di scrivere una canzone per bambini e così ho scritto “44 gatti”: 44 era la mia età.
E il Pappagallo giramondo?
L’anno dopo aver vinto lo Zecchino d’oro, ho mandato una canzone che parlava di un pappagallo balbuziente modenese, ma c’era una frase in dialetto (a sun d’Modna) e allora è stata scartata.
A chi hai dedicato “44 gatti?”
L’ho dedicata al mio gattino che si chiamava Agostino e che ha vissuto fino a 21 anni.
Quando hai scritto la musica dell’orchestra a quali strumenti ti sei interessato?
Io sono pianista, ho scritto la canzone al pianoforte e per la voce. La voce e il testo sono importantissimi, specialmente in questa canzone, perché c’è tutta la storia dei gatti senza padrone.
Preferisci suonare da solo o in gruppo?
Ho suonato per un po’ da solo, ma mi piace di più il trio : pianoforte, basso e batteria..
Perché hai trasformato “44 gatti” in jazz?
Per fare una versione un po’ diversa.
Perché hai fatto cantare la versione jazz a tua figlia?
Ma non è mia figlia! È una cantante molto brava, è la figlia di un musicista mio amico.
Quante canzoni hai scritto nella tua carriera?
Tante, ne avrò scritte 500.
Qual è la tua preferita?
“44 gatti” , senza dubbio, ma io ho scritto anche per Pavarotti, nel suo disco “Volare” c’è una mia canzone che si intitola “Fra tanta gente”.
Quando hai cominciato a suonare?
Abbastanza tardi, a 13 anni. Sapete perché? Adesso ve lo dico.
C’era un maestro di pianoforte che veniva a mangiare dove abitavo io, siccome non pagava mai il conto, il mio papà gli ha detto: “Beh, insomma, le dispiace se le mando a lezione mio figlio, così almeno qualcosa si recupera.” Perché dovete sapere che i musicisti sono spesso spiantati. E così ho cominciato; poi avevo anche un fratello violinistamolto bravo, eravamo una famiglia di musicisti.
In che anno hai vinto lo Zecchino d’oro?
Nel ’68, quando avevo 44 anni, era il decimo anno dello Zecchino.
Ti ha cambiato la vita vincere lo Zecchino?
L’ha cambiata moltissimo, intanto mi ha fatto scoprire che ero capace di scrivere delle canzoni per bambini, tanto che ne ho scritte molte altre, poi è stata una soddisfazione vincere, perché in quell’anno erano arrivate allo Zecchino 550 canzoni, tra le quali bisognava sceglierne dodici. Nello stesso anno c’erano anche la mitica “Popoff”, “Il valzer del moscerino” e “Il torero Camomillo”.

Il nostro incontro è terminato con il nostro canto di “44 gatti” e con l’OK del maestro per l’esecuzione del brano allo spettacolo .
GRAZIE !!!!!!!!!
I bambini e le insegnanti delle classi terze