30 settembre 2008

Senza ritegno

Come forse saprete sabato scorso Iain Banks ha partecipato in qualità di scrittore proveniente dalla Scozia, paese ospite del Festival, ad un incontro pubblico a Verona in occasione del Festival Internazionale dei Giochi di Strada “Tòca Tí”.


Me & Mr. Banks (Picture by x).
Non credevo che a quarant'anni suonati avrei rivissuto uno di quei momenti da adolescente in estasi da rockstar.
Ormai dovrebbe essermi chiaro ed evidente che gli artisti sono solo persone normali che fanno un mestiere diverso dal mio. Che producano dischi, scrivano romanzi, girino film o calchino le scene del teatro, risultano probabilmente molto più interessanti nelle loro opere piuttosto che non nelle quattro parole che capita di scambiarci incontrandoli casualmente per strada o nelle occasioni pubbliche cui può capitare partecipino.

Però la curiosità è più forte di ogni ragionevolezza e se scopri che uno dei tuoi scrittori preferiti parteciperà ad un incontro pubblico a un centinaio di chilometri da casa tua non puoi proprio esimerti dal prendere su e farti i chilometri che servono per vederlo finalmente dal vivo. Non solo, oltre a vederlo non puoi proprio perdere l'occasione di portarti a casa un souvenir dell'incontro, e cosa c'è di meglio che farsi firmare un suo romanzo?
Detto fatto. Il problema è che mi son ritrovato con quindici volumi di Banks in libreria e insomma, ecco, mi sono sembrati un po' troppi per una sessione di firme, e poi cavolo, scrivesse dei romanzo smilzi! Tra cartonati ed altre edizioni, la colonna formata dai suoi volumi raggiunge tranquillamente gli 80 cm!
Per fortuna nell'impresa non sono solo, e il buon x che mi accompagna, persona molto più seria del sottoscritto, decide di venire a Verona totalmente sprovvisto di volumi e si sobbarca volentieri (almeno a parole!) il peso di qualche libro. Alla fine decido che 10 volumi è il numero limite, che portarne di più risulterebbe davvero imbarazzante. (A proposito di imbarazzi, avevo prestato a un'amica Use of Weapons, ma non potevo certo rinunciare alla firma di Banks sul mio romanzo preferito, e quindi lungo la strada per Verona ci siamo pure fermati a recuperare il tomo. L'ho scritto in cima, senza ritegno, mica scherzavo…).
Naturalmente oltre ai libri carico macchina fotografica e flash, sia mai che mi lasci o scappare l'occasione di immortalare l'evento!

Iain Banks si presenta al pubblico italiano indossando una (orrenda) camicia che decorata com'è da una texture di cardi stilizzati dovrebbe probabilmente sottolineare la sua scozzesità. Ma questa è l'unica esplicita concessione alla sua terra d'origine.
Banks è brillante, scherza con il pubblico e si schernisce con divertita auto-ironia riguardo alla sua doppia attività di scrittore "serio" e fantascientifico.
Non rilascia dichiarazioni particolarmente memorabili, né cerca di imporre un particolare punto di vista. A dirla tutta è anche troppo diplomatico (o semplicemente troppo educato) soprattutto quando gli si chiede una qualche riflessione su politica e attualità o quando il discorso entra nello specifico della sua opera, specie quando Aly Barr, literature officer dello Scottish Arts Council (che promuove l’evento), se ne esce con un'infelice osservazione sul ruolo del gioco in una società anche troppo regolamentata e oppressiva quale gli pare essere la Cultura (ahi!).

Banks preferisce lasciare parlare i suoi libri. La lettura di un estratto da un suo romanzo che l'autore ha presentato al pubblico non lascia infatti troppe possibilità di dubbio riguardo il Banks pensiero.
Il tema della manifestazione in cui si colloca l'incontro è il gioco, la scelta del brano è quindi caduta (inevitabilmente direi) su The player of Game (l'introvabile L'impero di Azad, Ed, Nord, traduzione di Anna Feruglio Dal Dan) romanzo in cui si narrano le vicissitudini di Gurgeh, abitante della Cultura nonché campione indiscusso nelle più diverse specialità ludiche, alle prese con un gioco senza pari in un arretrato settore stellare della galassia.
La presentazione dell'Impero di Azad dal punto di vista del drone culturale, le note a margine su politica sesso e potere, beh… lasciano davvero pochi margini di dubbio riguardo l'approccio dell'autore alla fantascienza e danno un'immediata idea della prosa estremamente divertente e al contempo profonda e illuminante di Iain Banks.

Se devo rilevare qualche difetto nell'incontro (a parte la sua brevità), questo è probabilmente da trovare nella scarsa dimestichezza del traduttore - peraltro ineccepibile dal punto di vista professionale - con l'universo fantascientifico banksiano. Il fatto di ritrovarsi tra le mani parole come Cultura, Contatto o Mente senza rendersi conto del significato esteso che hanno nella produzione di Banks, beh… potete immaginare la scarsa fruibilità della traduzione italiana della chiacchierata che ha seguito la lettura del brano del romanzo.

Al termine dell'incontro c'è rimasto il tempo per una veloce intervista con l'autore (che speriamo veda la luce in uno spazio più consono) e per gli autografi di rito (anche se 10 volumi… vabbé…). Alla fine ho abbandonato le ultime riserve di pudore rimaste e ho chiesto a Banks la più classica delle foto ricordo. A parte il mio ghigno di soddisfazione, beh… non è che nella foto si veda altro.

In conclusione mi piace annotare quello che m'è parso un sincero entusiasmo della prof. Carla Sassi, esperta di letteratura scozzese del Dipartimento di Anglistica dell’Università di Verona nonché promotrice dell'evento, nei confronti del Banks fantascientifico. La professoressa s'è fatta trovare pronta nonostante la discussione abbia ignorato completamente la produzione mainstream del nostro ed è stata molto disponibile nel permetterci di incontrare Iain Banks a margine della manifestazione.

25 settembre 2008

Appuntamento a Verona


Picture by ascendent.
Sabato prossimo 27 settembre alle ore 18.00 Iain Banks sarà alla biblioteca civica di Verona per parlare del gioco nella letteratura contemporanea con Aly Barr, funzionario del Dipartimento di Letteratura dello Scottish Arts Council, e Carla Sassi, docente di Anglistica dell’Università di Verona.
(l'evento è organizzato in occasione di Tocatì - Festival Internazionale dei Giochi in Strada )

Io credo proprio che ci sarò.

(per i pochi sfortunati che non conoscono l'autore scozzese, beh… Iain Banks è probabilmente il più grande spettacolare divertente interessante meraviglioso scrittore di fantascienza del mondo.)


22 settembre 2008

Italia, XXI secolo

Vi segnalo questi due post di Giovanni De Matteo. Ogni parola in più è superflua.


Picture by jannakis.
La carneficina: sangue per San Gennaro
L’altra sera, alla vigilia delle celebrazioni per il santo patrono della città più bistrattata al mondo, negli stessi minuti in cui il Napoli tornava in Europa dopo oltre un decennio di purgatorio, 25 km a nord del San Paolo una pioggia di piombo si abbatteva su 6 extra-comunitari, davanti alla sartoria “Ob Ob exotic fashions” di Castel Volturno, al civico 1083 della statale Domitiana. 84 bossoli sono stati ritrovati sulla scena del crimine, e i corpi immersi in un lago di sangue. Una mattanza. La contrapposizione tra la festa della città e la violenza brutale dimostrata dai sicari è stridente.
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La spiegazione più attendibile (suggerita dall’assenza di firme a corredo dei pezzi) è che il Corriere non avesse nessuno in zona a rendere conto della strage e per questo in redazione si siano affidati ai dispacci delle agenzie stampa. Come è interessante notare dagli archivi dell’ANSA, fino alla tarda mattinata del 19 non erano in molti ad avere le idee chiare. Questa agenzia delle 00.30 del 19/9, per esempio, è emblematica: vi si parla di sette vittime, tutte nigeriane, mentre poi diverrà chiaro che tra le vittime nessuna era di nazionalità nigeriana, e che la settima fosse in realtà un italiano con precedenti per furto e rapina. Niente è invece emerso sui precedenti penali dei sei extracomunitari ammazzati. Converrete anche voi che un extracomunitario dalla fedina pulita ammazzato come un cane è cosa ben diversa da un delinquente extracomunitario fatto fuori in un regolamento di conti, ma il primo non serve agli scopi psico-terroristici di nessuno, mentre il secondo troverà sempre accoglienza come mostro in prima pagina. Gli errori capitano, per carità, ma quando vanno a costruire un quadro che avvalora l’ipotesi di ricostruzione avanzata senza esitazioni dagli inquirenti, qualche sospetto sulla buona fede degli organi di informazione diventa legittimo.
…continua a leggere…


Dopo la mattanza
Meritano una menzione d’onore gli italiani che ieri erano a Castel Volturno per commemorare la strage degli innocenti del 18 settembre 2008. Merita un attestato speciale il telegiornale de La7, che nell’edizione di sabato sera per primo - a quanto mi risulti - ha trovato il coraggio di parlare di “matrice razzista” per questo eccidio ancora senza movente.
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Intanto, grazie a Giuseppe D’Avanzo, apprendiamo finalmente i nomi delle vittime. Nomi rimasti oscuri fino a ieri, come se i morti non fossero stati nemmeno uomini degni del privilegio di venire battezzati e chiamati per nome, ma solo comparse destinate al sacrificio per un servizio giornalistico da 2 minuti in prima serata o da tre colonne su un giornale. Sono Samuel Kwaku, 26 anni, e Alaj Ababa, del Togo; Cristopher Adams e Alex Geemes, 28 anni, liberiani; Kwame Yulius Francis, 31 anni, e Eric Yeboah, 25, ghanesi. Mentre è ancora ricoverato con ferite gravi Joseph Ayimbora, 34 anni, anche lui del Ghana.
…continua a leggere…

19 settembre 2008

Freddo e vuoto, pure troppo.


Picture by Iguana Jo.
Immaginatevi un enorme magazzino dipinto nei toni del grigio, del bianco e dell'azzurro. Immaginatevi qualche automa dall'aspetto umanoide che vi si aggira con l'aria di avere un incarico della massima importanza ma senza esserne troppo convinto. Prevedete qualche incontro casuale, qualche dialogo il cui senso è tutto giocato su significati estranei al contesto (che voi ovviamente non conoscete) e soprattutto munitevi delle riviste di architettura più in voga. A questo punto avrete già un'idea più o meno esatta di cosa troverete in Guerreros, titolo italiano (seeee…) di Spook Country.

Nell'ultimo romanzo di William Gibson c'è questa manciata di personaggi uno più figo dell'altro e ci sono un sacco di location che più cool non si riescono mica a trovare. Ci sono Los Angeles e New York e Vancouver. Ci sono armi e tecnologia e visioni. C'è tutto quello che ti aspetteresti di trovare in un romanzo che voglia esplorare la contemporaneità. Ma tutti questi elementi suonano stonati, tutti questi luoghi, persone, oggetti galleggiano nel vuoto, tutt'intorno non c'è assolutamente niente e la temperatura è costantemente cinque gradi più fredda di quanto ti aspetteresti.
Certo, scorrendo le pagine ogni tanto compaiono parole come Iraq o arte locativa o guerra o riciclaggio di denaro, ma sono appunto parole, non assumono mai valenza concreta e tangibile. Sono astrazioni utili per il giochino intellettuale che l'autore mette in piedi, piccoli appigli per il lettore affamato d'attualità, che magari servono a soddisfare la sua coscienza sociale più attenta della media.
Il desolato panorama in cui si alternano ritmicamente locali all'ultima moda e segreti rifugi urbani sarà anche paradigmatico della situazione in cui ci troviamo a vivere (non ho alcuna intenzione di approfondire questo aspetto, che di aria fritta in giro ce n'è già abbastanza), ma a me ha dato piuttosto l'impressione di un progressivo distacco dell'autore dalle sorti del mondo, a metà strada tra l'arroganza dello snob che arringa il pubblico dall'alto della sua torre e l'ignoranza totale di cosa significhi vivere qua fuori. Insomma, la freddezza con cui tutti i suoi personaggi portano avanti la loro agenda, il fatto che qualunque minimo cambiamento nella trama abbia assai più del romanzesco che del reale, la rarefazione dei rapporti umani riscontrabile in ogni relazione che si instaura nel corso della vicenda: tutto mi fa pensare che Gibson sia ormai ad anni luce non solo dallo sporco dello Sprawl ma anche da quegli sprazzi di realtà ben visibili ne L'accademia dei sogni.

A rendere ancora più irritante la lettura ci si mette anche l'edizione italiana. (Prima che vi venga il dubbio, no, non mi riferisco alla meravigliosa copertina o alla geniale scelta del titolo.)
Non che riponga più molte speranze nella professionalità degli addetti ai lavori - almeno in quelli che lavorano per i grandi gruppi del settore - ma stavolta Mondadori ha davvero passato il limite. Poche volte mi sono imbattuto in una traduzione più trascurata. Certo, c'è sempre la sottile possibilità che tutte le brillanti invenzioni che compaiono qua e là nel romanzo siano frutto di qualche licenza dell'autore, ma insomma… vedersi trasformare una metropolitana in automobile e viceversa nel corso di tre paragrafi, leggere di una pistola definita apparecchio e riscontrare in generale una scarsa attenzione/credibilità nella costruzione di frasi ed espressioni non è cosa da Gibson. La cosa dispiace molto soprattutto perché l'autore della traduzione è Daniele Brolli che a mio avviso ha sempre fatto un ottimo lavoro nei romanzi precedenti dello scrittore americano (oltre ad avere molti altri meriti, ma vabbé… questo è un altro discorso).

Arrivato in fondo al libro (perché nonostante tutto, Guerreros si legge tranquillamente fino alla fine, anzi, se non ci fosse stato il nome di William Gibson in copertina forse l'avrei pure apprezzarlo un pochino di più - poco poco eh!) rimane la speranza che questo romanzo rappresenti solo un mancamento temporaneo - un passo falso come lo era stato American Acropolis - e che Gibson torni presto ad esplorare un po' più in profondità questo mondo spettrale, che di altre storie che si limitano a scorrere sulla superficie delle cose non ne sento proprio la necessità.

15 settembre 2008

In memoriam

Per quanto ricercati, astrusi o devianti siano, nei racconti di Wallace c'è sempre la possibilità di scorgere la Verità, come se di colpo si squarciasse un velo e potessi per un attimo scorgere il vero volto della realtà. Per questo motivo, e nonostante tutti i dubbi, continuo e continuerò a leggere Wallace. Non lo capirò mai fino in fondo, ma anche solo quel poco è sufficiente a rendermelo memorabile.

E invece lui ha deciso di mollare. Non so se capiremo mai il motivo del suo gesto, io credo che probabilmente lo standard di umanità cui DFW faceva riferimento fosse semplicemente insostenibilmente alto anche per una persona eccezionale come lui.
Non so perché la sua morte mi ha colpito tanto, non mi era particolarmente vicino, non era un amico e tanto meno un parente. Di sicuro so che DFW era una delle pochissime persone capaci di indagare l'esistenza fino alle sue più estreme propaggini e ritornare poi con un senso e la capacità di comunicarlo. Un uomo capace di andare oltre il cinico (anti?)conformismo che contraddistingue un'intera generazione di disincantati osservatori intellettuali e ricercare la Verità, senza compromessi, senza ammiccamenti, senza salvagente. Un uomo con l'umiltà di un'esploratore e il talento di un vero artista. Un modello che dimostrava con la sua esistenza che era possibile (che è possibile!) riuscire a parlare del mondo e dei suoi abitanti in maniera profondissima eppure comprensibile, esprimere un'opinione senza per forza volerla imporre, essere liberali senza per questo apparire accondiscendenti.

"La vostra preoccupazione per ciò che gli altri pensano di voi scompare una volta che capite quanto di rado pensano a voi." (infinite Jest)

Ma forse noi pensavamo troppo a DFW, e glielo facevamo sapere. Chissà.
Ovviamente non ho mai conosciuto l'uomo David Foster Wallace, mi sono limitato a leggere i suoi libri. Non so quindi che razza di persona fosse davvero, ma se la sua umanità era anche solo la metà di quanto appare dai suoi libri, beh… sarebbe stato comunque una persona formidabile.
Mi spiace davvero che si sia ammazzato, mi spiace non abbia trovato un motivo in più per restare ancora un po', mi spiace perché m'è sempre sembrato una brava persona. E qui e ora abbiamo un disperato bisogno di persone come lui.

14 settembre 2008

David Foster Wallace

Ho appena saputo della morte di David Foster Wallace.

Sono annichilito. Io amavo quest'uomo.
Ora il mondo (il mio mondo per lo meno) è decisamente più povero.


Picture originally uploaded by anthologist.

12 settembre 2008

Ego surfing


L'altro giorno in un momento di pausa ho provato a vedere in giro per la rete dove fossero andate a finire le mie foto.
Oltre a vederle abbinate ai testi più vari nei blog più disparati, ho avuto la lieta sorpresa di incontrare il blog di World gaze, che non solo mostra alcune delle mie immagini ma dedica pure qualche parola alla mia attività fotografica.
Beh… queste son cose che fanno bene allo spirito!
(Specie quando scopri per l'ennesima volta che qualche giornale locale - in questo caso la Gazzetta di Modena e Modena Mese - ha pubblicato le tue foto senza autorizzazione e senza alcun riconoscimento, ne formale ne tanto meno economico.)


05 settembre 2008

Doppio Solaris

© giorgio raffaelli
Non so per quale motivo, ma in questi giorni m'è capitato di ripensare a Solaris. Qualche tempo fa ne ho discusso in giro per la rete, tirando in ballo prima il film di Steven Soderbergh con George Clooney per poi arrivare finalmente a parlare del romanzo di Stanislav Lem. (Il film di Andrei Tarkovsky ancora mi manca, ma ho trovato il dvd e prima o poi capiterà di riuscire a vederlo.)

Questo è quanto scrivevo all'epoca.

Solaris, un film di Steven Soderbergh, 2002
Il Solaris di Steven Soderbergh è un film sull'amore, sulla sua raffigurazione, sulla sua percezione. È un film che indaga in maniera non superficiale sull'individuo e le sue relazioni, il cui l'approccio fantascientifico alla materia e' indispensabile allo sviluppo della vicenda.
Nonostante la maggior parte dei fan integralisti lo abbiano aspramente criticato a me questo Solaris è piaciuto. L'ho apprezzato soprattutto per come riesce a distinguersi dal resto dell'odierna produzione fantascientifica hollywoodiana. Per una volta è dato assistere ad una megaproduzione a stelle e strisce il cui ritmo non ti costringere a subire passivamente il sovraccarico sensoriale tipico degli ultimi blockbuster, una pellicola da cui traspare tutta la passione di Soderbergh per un certo cinema di fantascienza (da notare i molti riferimenti a 2001, e il fatto che pure in questo film fuori piove, anche se probabilmente nel cinema di sf ormai è obbligatorio :-), un film che privilegia il racconto piuttosto che il funambolismo degli effetti speciali.
Le scelte registiche sono sicure e mai banali, gli attori ci fanno un figurone e pure le scenografie non sono niente male. Eppure nonostante tutte le sue indubbie qualità Solaris non rientra nel novero dei film indimenticabili: forse il focalizzare l'attenzione su un unico aspetto del romanzo originale, per quanto affascinante, ne ha compromesso la possibile complessità*, forse quel certo mezzo passo falso narrativo m'è andato un po' di traverso (mi riferisco - senza spoilerare - al fattaccio che determina il destino della Rehya terrestre). Non lo so. Di sicuro il finale m'ha lasciato basito: voi scegliereste serenamente una fine simile? Non è forse la cosa peggiore che potesse capitare a quei personaggi?
Ma nonostante questi difetti Solaris è un'opera degna di rispetto. Un film come ormai da troppo tempo non se ne vedevano (probabilmente l'eccezione più recente rimane Gattaca). Non succederà mai, ma certo preferirei più film come questo piuttosto dei vari Matrix, Paycheck o Albe del giorno dopo che siano...

* A fine visione rimane la sensazione che nel film di Soderbergh manchi qualcosa. Sensazione confermata anche dalle parole del regista che nel commento al film accenna più volte a tagli sostanziali nel corpo del film (del resto è significativo che il film duri solo 1 ora e mezza rispetto agli standard degli ultimi tempi). Riguardo questo aspetto i miei sospetti si orientano tutti contro James Cameron (qui in veste di produttore) e in generale contro la major che ha prodotto la pellicola: da quel che ho capito Soderbergh aveva inserito in Solaris una riflessione filosofico/scientifica che si è poi convinto a eliminare. Naturalmente non ho prove ma sentendo il commento al film di Cameron qualche dubbio su come sia arrivato a convincersene ce l'ho...


Solaris, un romanzo di Stanisław Lem, 1961
Dopo averne tanto sentito parlare ho finalmente letto Solaris. La mia opinione è che il romanzo di Stanisław Lem sia stato abbondantemente sopravvalutato e che se è forse comprensibile l'entusiasmo che ne circondò l'uscita negli anni '60 dello scorso secolo, faccio davvero fatica a capire cosa ci si possa trovare di memorabile a una lettura odierna.
Prima che i numerosi fan di Lem mi vengano a cercare, provo ad articolare un po' meglio il mio giudizio.
Gli elogi a Solaris vertono tutti incontrovertibilmente sui grandi temi che Lem affronta nel romanzo: le riflessioni sull'inconoscibilità del pianeta, sull'alienità, sulla necessità umana del riconoscimento, la critica alla scienza. Tutti argomenti decisamente interessanti, ma che nel romanzo assumono molto spesso l'aspetto di predicozzi morali piuttosto avulsi dalla narrazione. Sono proprio le lungaggini descrittive e il fardello ideologico che si portano dietro (elenchi su elenchi di dettagli inutili tutti doverosamente approfonditi: ok, Solaris è inconoscibile, l'abbiamo capito... ) a rendere davvero pesante la lettura del romanzo. Capisco la necessità dell'autore di voler scrivere un'opera filosofica, lo capisco meno se me lo vuol far passare per space opera avventurosa.

Da salvare nel romanzo rimangono i momenti in cui si assiste al confronto dei personaggi con i propri fantasmi. Purtroppo le intenzioni filosofiche di Lem relegano questo tema ai margini della vicenda, oscurato com'è dalla massa del pianeta, dai suoi enigmi, dall'incapacità umana di riconoscere i propri limiti.

Che poi la critica alla razionalità umana mi starebbe anche bene, se a) non costituisse un freno alla tensione narrativa, e b) non fosse integralista e impermeabile a ogni ipotesi alternativa. In fondo quello che manca in Solaris è il dubbio: abbondano informazioni inutili, ignoranza umana, critica all'hubris terrestre, ma mai che sorga il minimo dubbio sulle fondamenta filosofiche su cui si basa il romanzo. Perché insomma, dai, che la scienza non sia la Verità credo che ormai sia un fatto acquisito. Magari non era così al momento della scrittura del romanzo, e allora va bene, posso capirne il successo all'epoca della sua pubblicazione, ma leggendo Solaris qui-e-ora le premesse ideologiche che muovono l'autore mostrano tutti i loro limiti.

03 settembre 2008

Rapporto letture - Agosto 2008


Picture by Iguana Jo.
David Mamet - Bambi contro Godzilla. Teoria e pratica dell'industria cinematografica
Dimenticatevi il disclaimer. Questo è un libro che si legge soprattutto per il gusto dell'aneddoto, unico ingrediente che riesce a rendere gustosa un'altrimenti insipida raccolta di testi a proposito della mediocrità che governa l'industria cinematografica americana. Scritti che vorrebbero essere pungenti ma che appaiono invece essere il frutto amaro di un pregiudizio politico. Non che quello che scrive Mamet non sia credibile, lo è eccome, ma per una volta a me avrebbe fatto piacere leggere al riguardo qualcosa di interessante sulle cause e le conseguenze, sulle alternative e le possibili soluzioni a questo stato di cose, piuttosto che sentire l'ennesima lamentosa filippica dell'autore frustrato.
Cambia la geografica e il medium, ma anche per questo volume tocca ripetere quello che scrivevo a proposito del Best Off minimumfaxiano riguardo gli autori e la loro bassa opinione dell'industria culturale italiana: "Non ho grandi dubbi nel condividere le loro parole, ciò non toglie che sono altrettanto convinto che non si possa presentare un'analisi senza fornire informazioni. Insomma, come si può proporre un dibattito sulla situazione dell'editoria in Italia senza integrarlo con uno straccio di cifra? Come si può pretendere di essere presi sul serio se ci si basa unicamente sul sentito dire, sulle sensazioni, se si prendono le mere opinioni come dati di fatto?". Cambia "editoria in Italia", con cinema hollywoodiano" e siamo a posto anche per il libro di Mamet.


Junot Diaz - La breve favolosa vita di Oscar Wao
Sauron è vivo e lotta contro di noi, ovvero le terrificanti dittature caraibiche raccontate a misura di college americano. Questo romanzo, commovente, divertente, tragico e affascinante ha davvero tutto per colpire il tipico lettore-nerd. Le citazioni fantasy/fantascientifico/supereroistiche si sprecano, i personaggi sono vivi, veri, e rimangono impressi, la storia della Repubblica Dominicana colpisce come un maglio la consapevolezza dell'ignaro lettore. Però a me rimane il dubbio che invece di sostanziare Sauron nella figura di Trujillo non avvenga invece il contrario, con il sanguinario dittatore dominicano trasformato in icona fantasy, a dispetto di tutto il notevole sforzo informativo che compie l'autore nello sviluppo del romanzo. Ma forse conosco troppo poco i Caraibi per avere un'idea realistica di cosa significhi crescerci in mezzo,


Jo Walton - Farthing
Non amo particolarmente le ucronie che molto spesso sono semplici scorciatoie per travestire di modernità il solito romanzo storico, giocando con le conoscenze pregresse del lettore piuttosto che con la speculazione fantascientifica che in teoria dovrebbe sorreggerle. Farthing invece è un romanzo speculativo della miglior specie, un'opera in cui lo slittamento della realtà storica ha lo scopo preciso di veicolare senza sbandamenti o concessioni la speculazione politica che è il fine ultimo dell'autrice.
Farthing è infatti un testo politico travestito da romanzo giallo, inserito in un contesto ucronico con un sapore inconfondibilmente inglese. Un romanzo capace di passare abilmente dall'atmosfera di sofisticata ipocrisia della nobile residenza di un lord della corona, ai dubbi etici di un gentile ispettore di Scotland Yard, alla sovversione più allucinante di ogni forma di civile convivenza.
Un testo brillante che guadagna nel crescendo drammatico della vicenda quello che rischia di perdere nella trasparente impostazione morale dell'opera da parte dell'autrice.


Jonathan Safran Foer - Ogni cosa è illuminata
Nel romanzo di Foer non tutto è illuminato, molto rimane in penombra, qualche passaggio m'è sembrato molto furbo, altri troppo poco approfonditi. Oltretutto avendo già visto il film di Liev Schreiber prima di leggere il libro avevo già qualche idea su sviluppo e personaggi e m'è un po' dispiaciuto non riconoscerli compiutamente nel romanzo.
Ma nonostante abbia apprezzato molto più l'Alex del film che quello del libro, nonostante Augustine rimanga un mistero e la storia del nonno abbia uno sviluppo diverso da quello che mi aspettavo, nonostante tutto questo Ogni cosa è illuminata rimane una delle letture migliori di questi ultimi tempi.
Come può un romanzo tutt'altro che perfetto rimanere tanto impresso nella mente del lettore? Forse ci riesce per la strabiliante sincerità che traspare dalle pagine, forse per la passione percepibile dell'autore nei confronti del cuore del romanzo, forse per lo stile memorabile con cui è scritto. Forse perché ritrovarsi catapultati in quella sorta di Macondo ebraico che risponde al nome di Trachimbrod è un'esperienza comunque indimenticabile. E le storie, i personaggi, le parole che arrivano da quel pezzo di Ucraina dimenticato da dio e dagli uomini hanno un valore e una sensibilità universale capaci di sopperire abbondantemente all'eccesso di entusiasmo (non saprei come altro definire il difetto del romanzo) del suo autore.


China Miéville - Looking for Jake and Other Stories
Trovato a tre sterline in una libreria di Belfast, questo volume che raccoglie 13 racconti e un fumetto scritti da China Miéville è stata una bella sorpresa.
Il primo impatto a dir la verità non è stato dei migliori, le prime storie mi hanno lasciato piuttosto freddino, non so se per la difficoltà di entrare in sintonia con la scrittura non proprio semplice dell'autore o proprio per l'atmosfera piuttosto distaccata che contraddistingue quei racconti, ma poi mi sono imbattuto in Reports of Certain Events in London e in Familiar e da lì in poi è stato un crescendo fino all'ultima pagina del volume.
Non sono un esperto di letteratura horror, non so quindi se le molte suggestioni che Miéville evoca nelle sue pagine siano totalmente originali o se invece siano riscritture di canoni del genere. Certo che il connubio tra creature fantastiche, approccio fantascientifico, interesse urbano e coscienza socialista che caratterizza la produzione breve di China Miéville è davvero strabiliante. Nell'antologia si passa dal classico racconto horror alla divertita sortita fanta-natalizia (in salsa rossa), dal ritorno nelle strade di New Crobuzon - la città protagonista del romanzo Perdido Street Station - con il racconto più fortemente e appassionatamente politico di tutto il volume, all'esposizione degli strani avvenimenti che coinvolgono le strade di Londra o alla descrizione di una rara malattia che preoccuperà più di un lettore. Quale che sia il tema del racconto è possibile rintracciare almeno un punto fermo nell''immaginario dell'autore: la città - intesa in tutte le sue possibili declinazioni, dalla discarica di periferia ai quartieri residenziali ai centri nevralgici del potere - che sia protagonista della storia o semplice palcoscenico, è un riferimento costante in tutti suoi racconti. Ed è proprio dal rapporto tra i suoi protagonisti e i luoghi dove vivono che nascono alcune delle creazioni migliori dell'autore, che sembra privilegiare i rapporti tra spazi e persone piuttosto che non le relazioni che si instaurano tra la varia umanità presente nelle sue pagine.
Una nota particolare sul romanzo breve che chiude il volume. In The Tain (a proposito, voi come tradurreste Tain?) Miéville si lascia ispirare da un'invenzione di Borges per imbastire un racconto apocalittico straordinario per la forza evocativa dell'idea che lo sostiene e formidabile per la sua inesorabilità. L'odissea di Sholl per le strade di Londra mi resterà negli occhi per un bel po' di tempo.


Seguite i link per le letture di gennaio, febbraio, marzo, aprile, maggio, giugno e luglio.