25 febbraio 2009

Wired


Picture by Iguana Jo.
Ieri Davide Mana sul suo blog si stupiva della pochezza della nuova edizione italiana di Wired rispetto a ciò che rappresentava la rivista nei suoi primi anni di vita, quando usciva per una piccola casa editrice americana prima di essere ceduta al colosso Condé Nast.

Beh… quello che scrive Davide è certo vero e reale e condivisibile. Però…

Però ci sono alcuni aspetti della questione su cui Davide sorvola:

- Non siamo ormai un po' troppo cresciuti per aspettarci la rivoluzione da una rivista? Si è davvero mai vista una rivista rivoluzionaria di massa?

- l'italia non è certo l'america, a prescindere da ogni altra considerazione socio-culturale sono i numeri che fanno la differenza. Quanti sono i potenziali acquirenti di una rivista che si occupa di tecnoavanguardie al di qua e al di là dell'oceano?

- entrando nel merito della situazione culturale nostrana è sin troppo scontato notare come qui ci si trovi ancora nella preistoria dell'era digitale. I pochi veri-geek nostrani che cosa se ne fanno di una rivista come quella che rimpiangono? Ehi! Ora c'è intenet! (come fa notare giustamente Davide in questo post)

- ma allora Wired Italia? Come scrive Davide. e come molti altri hanno fatto notare in rete, la rivista appena uscita è una roba da fighetti. Potrà non piacere ('azz! a me la definizione schifa proprio), ma è qualcosa con cui fare i conti: essendo roba da fighetti verrà acquistata e letta da soggetti che la rete la conoscono magari solo per facebook.
(Non sia mai che li colga l'illuminazione!)
Da parte mia credo che vista la situazione italiana qualunque soggetto provi a declinare un discorso al futuro piuttosto che al passato è più che benvenuto. In altre parole, siamo davvero sicuri che faccia così male tentare di riportare nel mainstream quel barlume di interesse per l'innovazione tecnologica e il cambiamento che bene o male costituisce il cuore della rivista?
Ci sono 80 pagine di pubblicità? Sopravviverò. In compenso mi pare che ci siano delle gran belle foto, che la rivista sia stampata in maniera splendida, che la grafica sia davvero gradevole.
I contenuti? oh… è una rivista. Non so voi, ma io la leggo in bagno. That's entertainment.

Quindi Davide, mi spiace che tu abbia speso 4 euro. È vero, probabilmente Wired Italia non fa proprio al caso tuo.
Per me invece, che non sono tanto geek quanto mi piacerebbe essere, Wired Italia mi pare più che dignitosa.
E poi l'ho pagata solo 80 centesimi.


13 febbraio 2009

A Londra!


Picture by Iguana Jo.
Nonostante non si sia riusciti a fare un salto a Twickenham (col senno di poi è andata anche bene), Londra ci ha davvero colpiti. Non avevamo particolari aspettative, che già avere qualche giorno di vacanza era una piccola soddisfazione. Però Londra è riuscita a sorprenderci. Erano anni che non ci mettevamo piede, eppure questi giorni trascorsi tra le sue strade hanno avuto davvero il sapore della prima volta.
Noi non siamo soliti viaggiare per grandi città, quando andiamo in vacanza (che ormai sono gli unici momenti da viaggiatori che ci sono rimasti) preferiamo muoverci tra campagne, coste desolate e luoghi in genere piuttosto solitari. Ma ogni tanto ci scappa di vedere com'è la vita nella metropoli e quindi via, vediamo un po' che impressione ci fa Londra.

La prima cosa che ci colpisce è il caldo insopportabile della corriera che ci porta in città dall'aeroporto, ci aspettavamo neve e gelo, ma forse il calore eccessivo degli interni è una reazione al clima esterno.
La seconda cosa sono le dimensioni. Londra è enorme, ci viaggi dentro per un sacco di tempo prima di arrivare, ovunque tu stia andando. Però Londra è anche accogliente: i suoi quartieri non danno (quasi) mai l'impressione della città tentacolare, quanto piuttosto quella di tante cittadine una a fianco all'altra. La stessa impressione si ha quando ti dirigi verso i sobborghi: fai poche decine di chilometri dal centro che subito ti ritrovi in una campagna verde e alberata tanto che la metropoli sembra appartenere a un altro continuum. (Se penso a Milano, il confronto è semplicemente improponibile).

Lo spettro pressoché infinito dei tipi umani e architettonici in cui capita di imbattersi passeggiando per la città ci ha fatto sentire davvero provinciali. Nel giro di pochi passi senti parlare in una dozzina di lingue diverse, nel giro di pochi metri le vetrine più avveniristiche si sovrappongono a palazzi secolari, la teoria dei lavori in corso - che Londra è viva soprattutto nella sua perenne attività edilizia: costruzioni, demolizioni, ristrutturazioni sono visibili dietro ogni angolo - si confronta con l'apparente eternità di certi luoghi. Insomma, a girare per la città si rischia l'overload sensoriale, ed è davvero come entrare in un altro mondo (l'avevo detto che siamo dei campagnoli, no?).

E che dire dei trasporti urbani? Dotati della nostra bella Oyster Card abbiamo girato in lungo e in largo, certi che dovunque ci trovassimo le mappe disponibili ad ogni fermata ci avrebbero riportati ovunque volessimo andare. Ormai non ho più una gran dimestichezza coi mezzi pubblici, ma perdersi a Londra m'è sembrato davvero difficile, come del resto spazientirsi per orari o ritardi o malfunzionamenti. Per quel che ci riguarda c'era sempre un autobus pronto a raccoglierci. (Anche se la metropolitana ancora chiusa dopo le sette del mattino ci ha lasciati un po' basiti! Va bene che era domenica, ma oh… c'è una metropoli da mandare avanti!)

Senza entrare nei dettagli dei musei visitati (tutti gratuiti, sembra di sognare…), delle birre bevute e del numero di teatri in cui siamo incappati (Incredibile!), Londra ci è sembrata decisamente accogliente, molto inglese all'apparenza ma decisamente globalizzata nella sostanza (e fortunatamente! se non altro almeno per la ricchezza gastronomica che la globalizzazione porta con se. Vuoi mettere se ci toccava mangiare british tutti i giorni?).

Mi sa che ci toccherà tornarci.


04 febbraio 2009

Rapporto letture - Gennaio 2009


Picture by Iguana Jo.
Geni'chiro Takahashi - Sayonara, gangsters
Postmoderno, surreale, avantpop. Per questo romanzo del giapponese Takahashi le etichette si sono sprecate. Il fatto è che potreste infilare Sayonara, gangsters in qualsiasi scaffale della vostra libreria, dalla fantascienza fino alla poesia, e lui si scaverebbe comunque un angolino comodo dove trovarsi a suo agio.
Da parte mia non saprei bene come catalogarlo. Ciò che importa è che la leggerezza e le invenzioni che contraddistinguono questo romanzo sono davvero memorabili. In ogni pagina di Sayonara, gangsters si respira l'amore per le storie che ci hanno costruito, il sapore dolce amaro della scrittura e la vertigine dell'immaginazione sfrenata. Le scorribande di Takahashi tra le pieghe dell'immaginario giapponese (e occidentale) sono formidabili e il risultato finale è originale e affascinante. Un romanzo da non perdere insomma.
Una nota di merito va a Gianluca Coci traduttore/curatore italiano del volume. La versione italiana del romanzo m'è parsa davvero ottima e la postfazione al volume è utilissima per penetrare più consapevolmente nel mondo dell'autore giapponese. Takahashi Geni'chiro è stato davvero fortunato a capitare nelle sue mani.

Ken MacLeod - La fortezza dei cosmonauti
Sono un po' incerto sul come giudicare questo romanzo dello scrittore scozzese Ken MacLeod: da un lato la storia è ben congegniata, lo scorrere parallelo dei due flussi temporali - un futuro prossimo sorprendentemente sovietico e uno remoto con tanto di sauri intelligenti al seguito - risulta ben bilanciato e la descrizione dei due mondi in cui si svolge l'azione sufficientemente meravigliosa e realistica da non annoiare. Però ogni tanto MacLeod m'ha dato l'impressione di perdersi un po' troppo in chiacchiere e di parlarsi addosso senza ce ne fosse davvero necessità, con il risultato di perdere il lettore per strada senza offrirgli nulla in cambio. Se a questo aggiungete il costante bisogno che l'autore ha di iniettare nel romanzo una visione Seria e Impegnata della Storia e della Politica capite bene che il piacere della lettura rischia a volte di scivolare mestamente verso la noia e il pregiudizio.
Ma forse il problema è che non tutti hanno il talento di un Banks o la leggerezza di uno Stross e quando un autore normale percorre le strade battute da gente di quel calibro il confronto salta agli occhi e un romanzo peraltro piacevole come questo La fortezza dei cosmonauti rischia una sorte peggiore di quanto forse meriterebbe.

Richard Powell - Via col piombo
Solitamente non compro il Giallo Mondadori, ma in questo numero compariva un racconto di Giovanni De Matteo che ero davvero curioso di leggere. Il racconto intitolato programmaticamente Logica del dominio è devastante, una ricostruzione agghiacciante della strage di San Gennaro, con la cronaca che si mescola alla fiction per un risultato che fa onore al suo autore.
Già che c'ero mi sono letto pure il romanzo di Powell, una solida storia hard-boiled che proviene dritta dritta dagli anni '50 dello scorso secolo. Tra ragazze perdutamente innamorate, poliziotti più o meno prestanti e cattivi che ricalcano pedissequamente tutti i cliché del loro ruolo Via col piombo si legge volentieri grazie soprattutto all'inettitudine del suo protagonista che stempera nell'ironia il passo pesante del racconto fino allo scontato lieto finale finale.

Peter Orner - Un solo tipo di vento
Il panorama desolato e affascinante della Namibia fa da sfondo a questo romanzo di Peter Orner. La cronaca quasi diaristica della permanenza di un insegnante nordamericano in una scuola persa nel deserto namibiano colpisce per l'atmosfera di normale rassegnazione dei personaggi che animano le pagine del racconto. Sullo sfondo delle vicende recenti (sempre tragiche, sempre violente) di quel pezzo d'Africa la storia della scuola di Goas sembra quella di una comunità di naufraghi separati dal flusso travolgente della Storia nella loro personale isola deserta.
Un solo tipo di vento colpisce più per il suo contenuto documentaristico che per la forza della narrazione, ma rimane comunque un'ottima lettura, soprattutto se vi piacciono le storie di personaggi veri e riconoscibili persi ai confini del nulla.

Robert J. Sawyer - Fuga dal pianeta degli umani
Seconda puntata del ciclo del Neanderthal Parallax che narra dell'incontro tra la nostra terra e quella parallela abitata dai nostri cugini di Neanderthal.
Riprendendo la vicenda iniziata ne La genesi della specie l'autore segue le vicissitudini del fisico Ponter Bondit alle prese in questa nuova avventura con le pene d'amore per la sua compagna sapiens e gli interrogativi sconosciuti ai Neanderthal sui rapporti tra fede e mortalità, con sullo sfondo la follia e la grandezza del genere umano.
Meno sorprendente e avventuroso del primo volume Fuga dal pianeta degli umani conferma le doti di solido narratore del canadese Robert J. Sawyer. La sua è una fantascienza che non ambisce certo all'avanguardia speculativa o alla ricercatezza stilistica, rappresentando piuttosto un tentativo di conciliare i più classici topoi del genere con una sensibilità aggiornata al presente. In questo ambito credo ci siano in giro pochi scrittori altrettanto validi.