21 dicembre 2010

Letture novembre 2010


Picture by Iguana Jo.
Roberto Casati - Il caso Wassermann e altri incidenti metafisici
Piuttosto inconsueto questo volume di racconti del filosofo Roberto Casati. Fosse stata un po' più meravigliosa Il caso Wassermann e altri incidenti metafisici avrebbe potuto essere una gran bella antologia fantascientifica, avesse osato di più forse ora starei a parlare di memorabili racconti fantastici. Purtroppo l'autore si ferma a metà strada e compone racconti molto stimolanti sul versante intellettuale, ma inesorabilmente freddi dal punto di vista emotivo, con personaggi e situazioni che, salvo qualche notevole eccezione (Il caso Wasserman per esempio) rimangono meri strumenti nelle mani dell'autore, che li utilizza per giocare con idee e principi scientifici e filosofici senza badare troppo alla loro umanità.
In ogni caso una buona lettura.
(Un grazie a Daniele che me lo ha consigliato qualche mese fa).


AA.VV. - Alia (Anglosfera)
Questo è il primo Alia anglofono che leggo, ma anche per i racconti raccolti in questo volumetto vale il discorso giù fatto a per i due volumi italiani letti a suo tempo (vedi qui e qui): è straordinario quello che la passione e la dedizione alla buona letteratura siano in grado di realizzare.
Alia è realizzata da un pugno di appassionati. Non ci sono coinvolti nè "Grandi Nomi" del fantastico nostrano, nè gruppi editoriali più o meno ricchi. più o meno potenti. In teoria Alia (Anglosfera) dovrebbe essere un progetto dilettantistico, con molte pretese e contenuti ravanati qua e là tra gli scarti di bottega.
E invece anche questo volume brilla per la qualità dei nomi coinvolti e per il valore dei racconti tradotti. Si parla di David Brin, Dennis Detwiller, Cory Doctorow, Nalo Hopkinson, Michael Moorcock, Charles Stross, Chris Roberson e di Walter Jon Williams. (Io di questi autori non ne conoscevo un paio, ma gli altri sono tutti nomi di primo piano).
Se c'è un difetto in questo Alia (come del resto negli altri volumi della collana) non sta tanto nei contenuti, quanto piuttosto nella qualità grafica della presentazione. Non parlo tanto delle illustrazioni che corredano i racconti, che sono invero apprezzabili, quanto piuttosto della copertina del volume, che a me pare piuttosto debole al confronto di quanto presente all'interno.
Ma l'abito non fa il monaco e quindi fatevi un favore: procuratevi questo volume, che nonostante alcuni dei racconti presentati siano poi comparsi in altre edizioni, Alia merita tutto il nostro sostegno.


Antonio Pennacchi - Il fasciocomunista
Il primo Pennacchi non si scorda mai? Non lo so, che a me Il fasciocomunista mica mi ha convinto.
Va bene la ricostruzione storica, sempre interessante, viva e partecipata, ma a me 'sta glorificazione del vitalismo ribellista del buon Accio Benassi, alter ego dell'autore e protagonista indiscusso del romanzo, mi è andata un po' di traverso. Come se bastasse sporcarsi le mani per essere giustificati degli errori commessi, come se la buona fede fosse sufficiente a cancellare le porcate fatte e l'ansia di cambiamento giustificasse ogni cazzata lungo la strada.
Perché quello che a me è risuonato forte e chiaro per tutto il corso della narrazione delle gesta di Accio è soprattutto una forte ansia di riconoscimento, un "ehi, ci sono anch'io", che viaggia parallela, seppur su binari diversi, erano gli anni '60 baby, a quella da reality show che sembra caratterizzare molte delle facce che vedo in giro oggi. Che allora - bei tempi! - fosse la politica invece dello spettacolo il palcoscenico dove mettere in scena le propri illusioni e i propri ideali, rende solo più triste la disillusione e il cinismo che rimangono a condire un'esistenza da sopravvissuto. Del resto nel romanzo la politica vera, quella fatta di idee, di discussioni, di partecipazione e, perché no, di lotte, rimane sempre sullo sfondo, che in primo piano ne Il fasciocomunista ci sono sempre i cori e gli scontri da ultra, le medaglie da appuntarsi sul petto, la scomparsa di qualsiasi ideale di fronte all'esigenza dell'affermazione di sè stessi.
Insomma, nonostante le apparenze anticonformiste, il ritratto del giovane protagonista di questo romanzo assomiglia tanto, troppo, a quello dell'italiano medio che mi sono raffigurato fiutando l'aria che tira: pronto a schierasi dove conviene, lontano dall'assunzione di qualunque responsabilità, pronto al lamento e alla giustificazione. Con quel pentimento e l'assoluzione finale a chiudere un romanzo che più nazional-popolare di così si muore (sul serio…).
Però ne Il fasciocomunista c'è anche da sottolineare la scrittura di Antonio Pennacchi, che magari è stilisticamente confusa e disordinata, ma che ha comunque una capacità affabulatoria notevole, capace di tenerti avvinto alla pagina a vedere cosa succede, a partecipare - che ti piaccia o meno - alla vita scriteriata di Accio Benassi e a ripensare a quando quindici anni, o venti, li avevi tu. E allora riesci a guardare con occhio più tollerante le scelte di chi, bene o male, con esiti magari del tutto diversi, ha comunque fatto qualche tratto di strada molto simile alla tua.


AA.VV. - Robot 56
Con il solito paio d'anni di ritardo ho finalmente letto il numero 56 di Robot.
Mi piacerebbe poter dire che la cosa migliore di questo Robot è l'articolo scritto a quattro mani da me e da Giovanni De Matteo (ok, soprattutto da Giovanni), però non sarebbe giusto, che le foto a Iain Banks scattate dal sottoscritto a Verona sono ancora meglio. (o forse è il ricordo di quella giornata a colorare di una luce migliore quelle che in fondo sono foto qualsiasi).
Scherzi a parte, questo è forse il numero di Robot le cui storie mi son piaciute meno. Nè i racconti degli autori stranieri, nè i contributi degli autori nazionali mi sono rimasti particolarmente impressi. Almeno non quanto la meravigliosa immagine di Stephan Martiniere che splende dalla copertina di questo numero.
In ordine di apparizione questi sono i racconti presenti nella rivista:
- Sulla spiaggia di Elizabeth Bear. Un racconto post-apocalittico premiato con l'Hugo, che ho trovato però un po' troppo retorico per i miei gusti;
- Copia d'artista di Giorgio Burello. Il racconto vincitore del premio Robot 2008, che a poche settimane dalla lettura è già evaporato dalla mia labile memoria;
- Sottomissione di Luke Jackson, autore a me sconosciuto con un racconto tranquillamente dimenticabile;
- Anniversario di Silvia Castoldi costituisce l'eccezione che conferma la regola: questo racconto in salsa vampiresca è il migliore tra quelli presenti in questo Robot. Lo è per la consapevolezza della scrittura, per le suggestioni che è capace di evocare, per l'abilità dell'autrice di giocare con un mito ormai frusto restituendogli la grazia e il turbamento che merita;
- Ritratto del figlio di Vittorio Curtoni , un racconto dai ruggenti anni '70, che con il suo passo pesante m'è parso un po' troppo datato per essere ancora apprezzabile;
- L'eroe dei mille mondi di Clelia Farris , storia di potere e rivoluzione che soffre di quello che non saprei come meglio definire se non come eccesso di entusiasmo, e risulta quindi un po' troppo confusa per essere davvero convincente;
- Cigno Nero di Bruce Sterling, un racconto italiano che parte bene ma che prosegue un po' troppo frettoloso e sciapo. Sterling è in grado di fare molto meglio.

A conti fatti io sarò anche un lettore difficile, però spero davvero che i prossimi numeri della rivista diretta da Vittorio Curtoni siano narrativamente più solidi e convincenti rispetto a questo numero 56.

13 dicembre 2010

Fantascienza al femminile


Picture by Richard Upshur.
Nelle ultime settimane Torque Control - che nei pochi mesi da quando l'ho scoperto è diventato una sosta obbligata nei miei giri on-line - si è occupato della fantascienza scritta dalle autrici anglosassoni (con qualche eccezione).

Gli interventi spaziano da recensioni e dibattiti sul singolo volume o sulla data scrittrice, a discussioni sull'influenza che la scrittura di genere al femminile ha avuto e continua ad avere sulla scena fantascientifica internazionale.

Tra le cose interessanti c'è la top-ten dei dieci migliori romanzi usciti negli ultimi 10 anni. Delle opere elencate solo due sono state tradotte in italiano, e di queste solo una, The Speed of Dark (La velocità del buio), in una pubblicazione di genere (Urania n. 1495, uscita nel febbraio 2005).
A parte constatare la mia ignoranza nei confronti della maggior parte dei titoli elencati (degli undici romanzi in lista ne ho letti appena due, e alcune autrici non le ho proprio mai sentite nominare), noto che tra questi romanzi non ce n'è nemmeno uno di Lois McMaster Bujold, che almeno per Guerra di Strategie meriterebbe a mio avviso un posto in classifica. (Probabilmente pesa sull'esclusione della Bujold il fatto - strano ma vero - che i suoi romanzi sembra non siano mai stati pubblicati nel Regno Unito).

Ma bando alla ciance, questa è la lista con il link al relativo post su Torque Control:
1. The Carhullan Army, di Sarah Hall
2. Maul, di Tricia Sullivan
3. Natural History, di Justina Robson
4. The Time-Traveler’s Wife, di Audrey Niffenegger
5. Spirit, di Gwyneth Jones / The Speed of Dark, di Elizabeth Moon
7. Life, di Gwyneth Jones
8. Lavinia, di Ursula K Le Guin
9. Farthing, di Jo Walton
10 Bold as Love, di Gwyneth Jones / City of Pearl, di Karen Traviss

Prima di precipitarmi a spendere i miei sudati risparmi, c'è qualcuno la fuori che li ha letti e ha voglia di parlarmene?

07 dicembre 2010

Letture settembre/ottobre 2010 - seconda parte


Picture by Iguana Jo.
David G. Hartwell & Kathryn Cramer (a cura di) - Controrealtà
Mi rendo conto che scrivere dell'antologia del meglio dell'anno che Urania propone al suo pubblico ogni estate rischia di risultare ripetitivo. Ma credo che nessun volume sia più utile di questo per capire in che direzione si stia muovendo la fantascienza, quanto sia viva e vitale, quali siano i temi più sentiti - seppur ci sono - tra gli autori che dettano il passo al genere.Mi rendo conto che scrivere dell'antologia del meglio dell'anno che Urania propone al suo pubblico ogni estate rischia di risultare ripetitivo. Ma credo che nessun volume sia più utile di questo per capire in che direzione si stia muovendo la fantascienza, quanto sia viva e vitale, quali siano i temi più sentiti - seppur ci sono - tra gli autori che dettano il passo al genere.
L'anno presentato in questa antologia è il 2006. Come fanno notare i curatori nella prefazione, il tema dominante sembra essere la catastrofe, declinata in decine di modi diversi eppure ben presente in molti dei ventisei racconti dell'antologia. Tra questi racconti ogni lettore avrà i suoi favoriti, che credo sia impossibile accontentare tutti. Io ne segnalo tre: Quando gli amministratori di sistemi dominavano la terra di Cory Doctorow (per la verità già letto nel n. 52 di Robot), che per la prima volta scrive un racconto in grado di convincermi pienamente; L’alba, e il tramonto, e i colori della terra di Michael Flynn, un racconto con un andamento molto poco fantascientifico, denso di riflessioni non banali sulla sopravvivenza al lutto e alla catastrofe, intenso ed emozionante; Ruanda di Robert Reed, si legge quasi come fosse un vecchio classico, con tutti i richiami a storie già lette, già sentite, ma con un twist finale agghiacciante per le sue implicazioni.

A conclusione di questa nota c'è da dire che la qualità media dei racconti scelti per questa antologia non è poi così memorabile, quasi a confermare l'idea che scrivere fantascienza originale e interessante sia sempre più difficile. Dal mio punto di vista mi pare di poter dire che quel che va per la maggiore sia la riscrittura aggiornata (e comunque piacevole) di storie che risvegliano echi di letture precedenti. I racconti segnalati dimostrano però che con un minimo di coraggio e di intraprendenza esiste la possibilità di percorrere nuove strade e di dare nuova linfa a un genere capace, come nessuna altro, di raccontare incubi e meraviglie in presa diretta dal XXI secolo.


Pat Frank - Addio Babilonia
Bello questo romanzo di Pat Frank. Addio Babilonia arriva dritto dritto dagli anni '50 del secolo scorso e mette nero su bianco l'incubo del dopo-bomba di un'intera generazione di americani.
In Addio Babilonia iI vivido racconto della tensione crescente tra i due blocchi, dell'atmosfera di paranoia e di guerra costante si mescola molto bene a quello della tranquilla realtà suburbana in cui vivono i protagonisti del romanzo. E quando si arriva al dunque, il precipitare degli eventi è raccontato con mirabile equilibrio tra cronaca e partecipazione.

Oltre al tema cardine del romanzo - apocalisse sopravvivenza ricostruzione - c'è almeno un altro motivo per cui il romanzo risulta particolarmente interessante. Addio Babilonia è infatti un romanzo scritto da un autore apertamente schierato politicamente ed è oltremodo trasparente come nonostante le vertenze progressiste ben evidenti nel testo (vedi soprattutto i rapporti tra bianchi e neri, o il tratteggio delle figure di potere) certi pregiudizi e convenzioni dell'epoca siano irriducibili a ogni confutazione.
Penso al paternalismo con cui - pur con tutte le migliori intenzioni - sono descritti i personaggi di colore, o al modo in cui sono ritratti tutti i personaggi femminili, sempre maschio-dipendenti e comunque incapaci - con la parziale esclusione dei compiti naturalmente femminili - di qualsiasi apporto autonomo alla sopravvivenza della comunità, e penso soprattutto alla riproposizione, nella piccola comunità indaffarata per la propria sopravvivenza, delle stesse dinamiche di potere (gerarchia e controllo) che hanno condotto la società all'olocausto nucleare.
Se Addio Babilonia fosse stato scritto qui e ora questi difetti risulterebbe intollerabili, ma gli oltre cinquant'anni che ci separano da questo testo permettono di apprezzarlo anche per l'involontario ritratto della società dell'epoca.


Jon Courtenay Grimwood - Felaheen
Terzo e conclusivo romanzo della trilogia arabesca Felaheen conferma quanto di buono Jon Courtenay Grimwood ha costruito con i due romanzi precedenti (vedi qui per Pashazade e qui per Effendi). Rispetto ai precedenti capitoli Felaheen m'è parso forse inferiore per quanto riguarda il plot principale (soprattutto per alcune trasformazioni francamente incredibili del protagonista), ma la ricchezza dello scenario e la profondità del ritratto della società araba e che emerge dalla storia ripagano abbondantemente dei difetti che pure non passano inosservati. Se poi a tutte le suggestioni dovute alla particolarità e al dettaglio dell'ambientazione ci aggiungete un personaggio come Ashraf Bey, beh… la possibilità di trovarsi di fronte a una serie di romanzi che tendono al memorabile si fa sempre più concreta.
Arrivato alla fine della trilogia posso dire che Jon Courtenay Grimwood è stato davvero una bella scoperta. Nell'attesa che si decida a riprendere in mano il suo protagonista, si tratta solo di decidere cos'altro leggere. La scelta non manca (mi pare ci siano un'altra mezza dozzina di romanzi a suo nome), voi lì fuori cosa mi consigliate?

06 dicembre 2010

Iguana Business

Prendendo esempio da Franco Brambilla che sta promuovendo in questi giorni le sue creazioni in vendita su Zazzle, ho provato anch'io a metter su una vetrina virtuale con qualche custodia per iPhone e iPad.
Se vi interessa qui sotto ci sono anteprima e link.



Sono disponibile per ogni ulteriore eventuale personalizzazione a richiesta.

25 novembre 2010

Quindici personaggi immaginari


picture by Iguana Jo.
Riprendo da Strategie Evolutive e ripropongo anche da me il giochino. Queste le regole:
"Senza pensarci troppo. Quindici personaggi immaginari (televisione, film, commedie, romanzi) che vi hanno influenzati e che vi porterete per sempre dietro. Elencate i primi quindici che vi vengono in mente in non più di quindici minuti. Non è necessario alcun ordine particolare".
In realtà io li ho messi in ordine alfabetico, e c'ho messo un quarto d'ora più d quanto richiesto. Ma tant'è, ecco la mia lista:

- Actarus

- Bora Horza Gobuchul

- Capitan Harlock

- Capitano Nemo

- Case

- Ellen Ripley

- Gardner Barnes

- Hans Schnier

- Indiana Jones

- Jake & Elwood Blues

- Obi-Wan Kenobi

- Peter Parker

- Philip Marlowe

- Sandokan

- Ziggy Stardust

(Il predator qui sopra nella lista manca. Ma quando mi capita un'altra occasione di postare una foto simile?)

24 novembre 2010

Seconda visione - Signs

Non c'è due senza tre. Ecco dunque il terzo post di fila che trae l'ispirazione da una discussione su Malpertuis.
Come per tutte le recensioni sotto il titolo di "seconda visione" si tratta di note già comparse in giro per la rete qualche anno fa e riproposte ora sul blog.

Nel prossimo post si parlerà d'altro. Lo prometto.


Picture by Greg76.
Signs a me è piaciuto parecchio. Il film di Night Shyamalan è una di quelle pellicole che continui a rimuginare anche dopo essere uscito dal cinema. Confrontandolo con gli altri film del regista m'è parso però meno equilibrato, la parte seria e quella fantastica non erano così ben amalgamate come nelle due opere precedenti. D'altra parte Signs è molto più divertente.

Per "parte seria" del film intendo ciò che accomuna Signs ad Unbreakable e al Sesto Senso. Il nucleo drammatico delle tre pellicole è infatti molto simile: adulti perduti che grazie alla relazione che instaurano con l'infanzia ritrovano la bussola.

L'aspetto più controverso del film è la particolare bussola ritrovata dal personaggio interpretato da Mel Gibson.
Nonostante sia l'opinione più diffusa, io non vedo Signs come un film centrato sulla fede. Certo, l'aspetto fideistico è un importante, ma in definitiva è solo un mezzo, uno strumento, attraverso il quale il protagonista riesce a ridare un senso alla propria vita (un po' come il lavoro per il Bruce Willis de Sesto Senso o la missione da supereroe in Unbreakable).
Come nelle due opere precedenti anche questo film è centrato sulla risoluzione di una crisi personale e su come questa incida sulle relazioni familiari/personali. Poi è chiaro che c'è anche dell'altro (e che altro...), ma quello rimane il nocciolo della pellicola.
Per lo stesso motivo non credo che Shyamalan voglia convertire nessuno, che lui abbia o meno certe convinzioni non cerca mai di convincere lo spettatore della superiorità di una visione credente o scettica dell'esistenza. Pone il dubbio, che per me è questione fondamentale.

Lo stesso discorso si può fare sui segni: in un primo tempo questa cosa dei messaggi inviati da qualche entità superiore mi ha lasciato mooolto perplesso, ma poi ci si rende conto che di segni il film è pieno, e di significato quanto meno dubbio (vedi p.es. l'illustrazione con la casa in fiamme e i tre corpi sul prato). Che il protagonista ci trovi quello che gli serve, e scelga quindi i segni che gli convengono di più, e accetti il tutto come proveniente da un'entità superiore non è un suggerimento spirituale rivolto agli spettatori, ma l'unica soluzione accettabile per quel particolare personaggio (che in effetti appare piuttosto ridicolo nel suo agire).

Per quanto riguarda gli alieni, beh... la mia opinione è che si sia trattato di un grosso scherzo/omaggio fatto dal regista agli amanti dei B movie anni '50: tutta la dinamica dell'invasione, le reazioni dei protagonisti, l'impostazione delle scene, la figura della televisione, le interazioni tra le persone e i mostri sono prese pari pari da quell'immaginario. 
E visto oggi è estremamente divertente.
Il punto semmai è perché il regista abbia deciso questo approccio, ma qui forse qualcuno ha delle ipotesi migliori delle mie.

A parte il giochino dell'omaggio, io credo che la presenza degli alieni abbia lo scopo di alleggerire una situazione per certi versi insostenibile e di dare una risposta irragionevole e assolutamente iperbolica alla necessità del protagonista di dare un senso alla tragedia che sta vivendo. 
Detto in altre parole rappresentano la soluzione più improbabile (e quindi tendente a un rispettosissimo ridicolo) ai suoi problemi esistenziali.
(2003)

22 novembre 2010

Seconda visione - Farenheit 451

In queste settimane il blog sta andando a rimorchio, che per qualche contenuto più consistente dovete portare un po' di pazienza.
In questo caso lo spunto è di nuovo Malpertuis, che propone al suo pubblico di dibattere sulle qualità e i difetti di Ray Bradbury.

Qualche anno fa avevo caricato in rete qualche nota sulla versione cinematografica di Farenheit 451 girata nel 1966 da François Truffaut.
Ve le ripropongo qui di seguito.


Originally uploaded by Uncinefilo.
Grazie al dvd ora in edicola ho finalmente visto Farenheit 451. Non che non ci dormissi la notte, ma ero davvero curioso di vedere la trasposizione cinematografica di un romanzo fondamentale come quello di Bradbury. Ero soprattutto curioso di vedere come si sarebbero sposate la sf americana e la sensibilità di François Truffaut.

Il risultato non è davvero eccezionale. Probabilmente troppi sono stati i compromessi cui ci si è dovuti adattare per poter girare il film e il risultato finale purtroppo ne risente. Farenheit 451 è il primo film a colori di Truffaut, il primo girato in lingua inglese (lingua che il regista non parlava), il primo film americano (anche se girato in inghilterra), e tutte queste novità si vedono.

Lo sviluppo della vicenda è troppo didascalico, non si crea la minima tensione narrativa, l'attenzione del regista si focalizza unicamente sul tema dei libri. Questa scelta offre da un lato le uniche scene davvero emozionanti del film (il rogo dei libri è davvero doloroso), dall'altro rende troppo trasparente l'intento morale della pellicola, banalizzando così anche il romanzo. Il clima che si respira risulta immediatamente datato, non si avverte appieno l'atmosfera allucinante della società descritta da Bradbury. In questo contesto l'assenza di ogni richiamo alla guerra, la riduzione dell'incubo domestico/televisivo, la mancanza della pubblicità invasiva rendono l'ambiente troppo fasullo e la costruzione retro/futuristica quasi fine a se stessa (per quanto interessante). E poi mancava pure il segugio...

Di buono ci sono sicuramente le idee di Bradbury, e alcune idee cinematografiche: i titoli di testa (!), Julie Christie nel doppio ruolo, i dettagli retro (i telefoni, il rasoio), le fiamme, la trovata nel parco giochi, la neve... 
Un po' poco per lasciarmi del tutto soddisfatto.

Il dvd è arricchito da una serie notevole di documenti: c'è Bradbury che parla della sua carriera, un making-of che fortunatamente non è la solita celebrazione del film, un documentario sulla musica (tutti rigorosamente in inglese senza sottotitoli), il commento alla pellicola di Julie Christie.
(2004)

18 novembre 2010

Noi siamo le storie che ci raccontiamo


Picture by Iguana Jo.
Segnalo questa discussione in coda a un post di Malpertuis. Si parte dalla critica al maschilismo tuttora imperante in molto nel cosiddetto cinema indipendente americano, per poi cercare di stabilire se, e come, il cinema influenzi il clima culturale circostante e se sia compito del critico riconoscere i potenziali rischi ideologici che la data opera porta con se - consapevolmente o meno. Niente di nuovo, ma è sorprendente come certe cose che do quasi per scontate, per altre persone non lo siano per nulla.

15 novembre 2010

Modena Rugby Veterans (Trofeo Eligio Amedei)

Qualche foto di rugby, per cominciare bene la settimana.














Sabato la squadra dei Modena Rugby Veterans ha giocato con gli Old del Bologna Rugby per la seconda edizione del Trofeo Eligio Amedei.
Io stavolta mi sono limitato alle foto, che sono reduce da una visita dal dentista che mi ha lasciato con sei punti in bocca e quindi di giocare non se ne parlava nemmeno. Ma va bene lo stesso, che dopo aver sconfitto il Bologna abbiamo mangiato zampone, lambrusco e purè!

Le altre foto le trovate qui.

08 novembre 2010

Letture settembre/ottobre 2010 - prima parte


Picture by Iguana Jo.
Alice Munro - Nemico, amico, amante…
Se ho scoperto Alice Munro è grazie alle recensioni dei miei vicini lette su Anobii. E un bel grazie questi vicini se lo meritano tutto, che Alice Munro è davvero una scrittrice sopraffina.

Scrivere di una autrice come Alice Munro mi mette un filo di soggezione, perché di lei hanno già parlato in tanti, conoscendola meglio e di più di quanto possa dire di conoscerla io, dopo averne letto solo i racconti di questo volume.
Ho deciso quindi di buttar giù queste note commentando Nemico, amico, amante… da un punto di vista che mi è più vicino. Quello del lettore di fantascienza.
Intendiamoci, i racconti raccolti in questo volume non hanno nulla di fantascientifico, nemmeno a cercarlo tra le righe. Se c'è qualche motivo di interesse anche per il lettore di genere lo si trova tutto nella capacità incredibile della Munro di raccontare storie piccole, locali, quotidiane, che nella loro perfezione assumono valore universale. Un ulteriore motivo di interesse per il lettore fantascientifico potrebbe essere l'importanza che ha il tempo nella costruzione della narrativa dell'autrice canadese. La percezione soggettiva del trascorrere del tempo, la memoria, la ricostruzione del passato e il cambiamento dei rapporti tra persone chiuse in personali e diverse angolazioni temporali sono caratteristiche comuni a tutti i racconti di Nemico, amico, amante…. E sebbene il fulcro delle varie storie appaia sempre essere un rapporto a due (a volte immaginato, a volte potenziale, a volte effettivo, a volte concluso o senza speranza) questa relazione è solo una base su cui costruire vicende e intessere riflessioni che vanno ben oltre i limiti del racconto sentimentale.
Insomma, Alice Munro mi ha conquistato, e ormai sento le campagne canadesi come parte del mio panorama personale.


Gwyneth Jones - Pazienza divina
La fama di Gwyneth Jones tra il lettori di fantascienza anglosassone è trapelata fino a queste pagine grazie alle parole di Marco, che mi hanno spinto a leggere quello che credo sia al momento l'unico romanzo a suo nome tradotto in italiano.
Pazienza divina è la storia di un gatto e di una bambina post-umani (e/o post-felini) che, eredi di potentissimi segreti, si mettono in viaggio dalla loro fortezza nel desolato deserto postatomico per raggiungere gli ultimi bastioni della civiltà alla ricerca del fratello scomparso della fanciulla, Qui si ritrovano coinvolti nella lotta tra misteriosi movimenti rivoluzionari e una struttura di potere in evidente stato di decadimento.
La lettura di Pazienza divina mi ha lasciato sapori contrastanti. Se da un lato la descrizione dei personaggi, delle loro emozioni e delle loro interazioni sono davvero notevoli (tanto da ricordarmi in qualche modo Samuel Delany), dall'altra la maggior parte delle loro motivazioni e del loro rapporto con il mondo circostante rimane parecchio oscura. Se l'ambiente in cui si muove la vicenda è ricco di dettagli, vivo e percepibile e con un'ottima gestione delle atmosfere tra l'esotico e l'alieno (la storia si svolge in quello che pare essere il sud-est asiatico di un remoto futuro - da confrontare con quello di Nessun uomo è mio fratello, che m'è parso in qualche modo vicino - o debitore - a questo della Jones), la situazione politico/sociale che muove la vicenda rimane sempre criptica e poco comprensibile, e i motivi di frizione tra le varie comunità sparse sul territorio decisamente poco chiari e mai esplicitati.
Questa forte divergenza tra attenzione al dettaglio e mancanza di quadro d'insieme si deve probabilmente alla scrittura estremamente elusiva ed ellittica della Jones, che non fai mai esplicito riferimento a fatti o luoghi o situazioni che hanno determinato il presente in cui si muovono i suoi personaggi. La qual cosa non è di per sé negativa: questo modo di raccontare evita il rischio di cadere nell'infodump e proietta il lettore al centro dell'azione, d'altra parte rischia di rendere al contempo incomprensibili motivazioni sociali e cause oggettive della crisi che sembra attanagliare le parti coinvolte nel conflitto.
Per completare il quadro bisogna anche dire che non so quanto delle difficoltà avute nel corso della lettura del romanzo siano da imputare a Gwyneth Jones e quante invece dipendano dalla traduzione italiana, che m'è parsa anch'essa poco lucida e scorrevole.
Come si scriveva nei commenti collegati più sopra, per farmi un'idea più completa sull'autrice inglese dovrei forse provare a leggere Bold as Love, e non è detto che in futuro non accada.


Chiara Reali - Lunga vita e prosperità
Lunga vita e prosperità non lo trovate (ancora) in libreria. Per leggere questo romanzo breve di Chiara Reali dovete passare di qua e accettare lo scambio che l'autrice vi propone.
Detto questo, io vi consiglio vivamente di procurarvelo. Lunga vita e prosperità non è un romanzo perfetto, e credo che l'autrice ne sia ben conscia, ma già in questa stesura è più interessante, potente, emozionante dell'80/90% dei testi italiani letti negli ultimi anni (e ci aggiungo pure perturbante così Elvezio se lo legge).
Come scrivevo altrove: Lunga vita e prosperità è uno di quei libri di cui vorresti conoscere l'autrice, un po' per coccolarla, un po' per dirle che no, guarda, qua fuori è più semplice che lì dentro, che vanno bene tutte le domande, ma che se qualche volta non conosci la risposta non è poi così grave! Chiara, che tu ci creda o meno, siamo messi in tanti così, qua fuori.

La scrittura di Chiara Reali è formidabile: piena di dolcezza, ma avvolta in strati su strati di crudeltà, di dolore, di vita (troppo dentro, troppo troppo dentro). Con un orecchio (e un occhio e un tatto) sensibilissimo ai limiti del corpo e alle sue esigenze. Con il fuori che diventa sempre dentro, e un dentro che fa davvero fatica a uscire fuori. Con il ricordo che non è nostalgia ma storia e memoria e tempo.
Ci sono dei difetti?
Forse a volte Chiara Reali si innamora troppo di una certa immagine, di un certo momento, e allora la scrittura sembra deragli e parta senza il solito controllo, avvolgendosi un po' su se stessa, perdendo il filo della narrazione.
Ma in ogni caso questo racconto che corre avanti e indietro nel tempo, racchiuso tra le date simbolo dei due disastri dello space shuttle (quello del Challenger, nel 1986 e del Columbia, nel 2003), è qualcosa che colpisce e rimane, come solo i testi migliori sanno fare.


Aimee Bender - Grida il mio nome
Di Aimee Bender avevo letto qualche anno fa una raccolta uscita per minimum fax che si intitolava Creature ostinate, che è stata probabilmente la lettura più sorprendente di quel periodo. Solo più tardi ho scoperto che esisteva già tradotto in italiano un altro volume dei suoi racconti, questo Grida il mio nome uscito a suo tempo per Einaudi.
Ora che sono finalmente riuscito a leggerlo posso dire che anche questa manciata di racconti non fa che confermare la qualità della narrativa di questa autrice americana.
I racconti di Aimee Bender sono straordinari nel senso più letterale della parola: capita di incontrarci persone trasformate nel corpo o nella mente, mutanti nell'anima o semplici freaks del vivere quotidiano, ma del tutto normali - sin ovvi - nei sentimenti, o nei loro tentativi di affrontare l'esistenza. Ed è straordinario il talento di Aimee Bender nel mantenere la propria scrittura rigorosa, controllata e comunque emozionante, anche di fronte agli eventi più terribilmente fantastici che accadono - di continuo! - nelle sue storie.
Una piccola meraviglia.


28 ottobre 2010

Steampunk is the new flavour!


Picture by Simon Crubellier.
Avevo già espresso i miei timori che il cosiddetto genere Steampunk si consolidasse nella percezione comune come una sorta di fantasy per il XXI secolo.
Mi fa piacere che anche un pezzo grosso come Charlie Stross esprima in qualche modo gli stessi timori.
(Beh… lui lo dice molto meglio di quanto avrei mai potuto scrivere io, ma la sostanza è quella, no?)

27 ottobre 2010

Un report sulla Notte dell'Iguana Vivente, ovvero della buona compagnia


Picture by Iguana Jo.
Un po' per alleggerire l'aria che tira da 'ste parti, un po' perché questo è un bel ricordo da conservare, ecco qua il report sullo stato del' Iguana (ops… della Notte dell'iguana vivente), nelle parole di Marco (certo che bisognerebbe fare qualcosa per 'sto nickname, eh!).
Enjoy!


Arrivo alle 10:04 in Stazione ad Alessandria. Subito squilla il telefonino. E’ Giorgio, l’identità segreta di Iguana, che è già lì che aspetta. E’ uguale alle foto sul blog, non mi sembra un granché come identità segreta, almeno Clark Kent si toglieva gli occhiali. Parliamo un po’ e subito arriva Elvezio. Visto che sul suo blog qualcuno si interrogava sul suo aspetto fisico, dirimo la questione: sembra molto più tamarro che nerd. Hai anche la vaga sensazione che stia per darti una manata agli occhiali e scappare via colla tua merendina. Poi sotto l’influsso dell’alcool confesserà di possedere il team-up dell’Uomo Ragno con Orestolo il Papero, rivelandosi tamarro fuori ma NERD DENTRO.
Partiamo. Giorgio/Iguana non ha molto guardato la mappa, perché gli piace girovagare in auto e sbagliare un po’ la strada, così ha modo di farci sentire la sua compilation delle 20 canzoni
(qui, ma non commentate lì che sennò Urania non vi pubblicherà mai).
Parliamo di musica, fino a che non arrivano le canzoni degli U2 : Uan Loov, Uaan Laaif, Uàan Uàan. Mentre io medito di vendicarmi con un cd di musica post-punk/avant-gard/industrial australiana, Elvezio si sente ispirato a raccontarci il suo ultimo incubo, in cui lui fa l’hostess in un aereo da cui ogni tanto spariscono dei passeggeri (probabilmente tutti avevano fatto spese in un determinato negozio nel centro di Milano). Poi si scopre che c’era una stanza segreta in cui un uomo nudo aveva scuoiato le povere vittime.
Poiché non mi sembra originalissimo e noto qualche falla nella trama, gli dico che mi sembra una sceneggiatura vincente. Taccio sulle evidenti interpretazioni psicanalitiche, che siamo ancora troppo sobri.
Dopo aver sbagliato strada un paio di volte arriviamo a Nizza Monferrato e incontriamo gli altri: Davide e suo fratello e Fulvio e un suo amico che si chiama Marco come me ma è un lurker, cioè una di quelle persone che parlano solo quando hanno qualcosa di interessante da dire e quindi la mia antimateria.
Ci mettiamo a discutere di fantascienza in Italia e all’estero, passando poi alla blogosfera italiana; naturalmente sono discorsi a quattr’occhi che non vanno ripetuti, che i blog hanno orecchie.
Si parla bene dei presenti, bene degli assenti, MOLTO BENE di donne compagne mogli che hanno dato buca all’ultimo minuto: “TESORO, vorrei TANTO ma ho l’emicrania. Ci vai da solo all’incontro coi tuoi amici sfigati, vero cicci?”.
Ripartiamo verso Vaglio Serra. Elvezio incomincia a manifestare segni di allergia da natura, e parla di sacrifici umani nei campi di grano, matrimoni fra consanguinei e mutanti subumani.
Iguana è d’accordo: sarebbe molto meglio se vivessimo all’interno di una astronave della Cultura.
Nel mentre arriviamo ad un rudere abbandonato che non ha molto l’aria del ristorante, ma è perché abbiamo seguito Davide che non sa la strada invece di Fulvio.
Arrivati a Vaglio Serra, scopriamo che è ancora presto. Mentre facciamo un giretto per il paese e Iguana fotografa la ruggine Davide ci spiega: 1) La differenza fra Langhe e Monferrato 2) Tre possibili teorie sull’origine del nome Monferrato 3) Perché in questa zona ci sono molti paesi coi doppi nomi 4) Ogni scarafone è bello a mamma sua, ma se sei un entomologo di fama mondiale a tua madre gli scarafoni non piacciono lo stesso. Finito il giro con sguardo sulla vallata e profezia post-apocalittica è ora di andare a mangiare.
Sul menù lascerei la parola a Davide, perché non ho mica capito se il civet sia un uccello o un marsupiale e se abbia qualcosa a che fare col caffè che ho bevuto dopo. Comunque ordiniamo un tris di primi – ottimi, come del resto il secondo e il dolce al cioccolato con crema di menta, per non parlare del vino.
Discutiamo variamente di fantascienza, qualcuno ancora non ha visto la LUCE su M John Harrison, di comics, della convention a cui è stato Fulvio la settimana precedente, con una esposizione di piedistalli per spade laser, della discriminazione o meno subita dai nerd, della fantascienza in Italia e dei lettori di Urania, e in generale politica universo e tutto quanto. Iguana ha anche portato tre libri in regalo – due son belli ma li ho letti il terzo parla del processo alla Juventus. Sarebbe stato l’ideale per Orlando, ma lui non c’è così ce lo giochiamo io e Elvezio (granata pallidi) ma glielo lascio quando mi rendo conto che degli atti del processo non mi interessano molto, io la Juve la odio sulla fiducia.
Due bottiglie dopo arriva anche il momento di caffè e ammazzacaffè. Fulvio che non ha forse chiaro quest’ultimo concetto vorrebbe ordinare un cappuccino(!) e berlo dopo il liquore, ma lo facciamo rinsavire.
Il Laphroaig è quel tocco di classe che conclude ottimamente il pasto.
Visitiamo poi una cantina sociale, dove io e altri due figuri il cui nome non ripeto assaggiamo ripetutamente tutto il vino che ci finisce tra le grinfie mentre gli altri continuano i loro discorsi intellettuali.
Inizia a piovere, ci si sposta a casa di Fulvio e si continuano i discorsi, fino a che è ora di andare.

25 ottobre 2010

Urania & Me


picture by Franco Brambilla.
Visto che altrove mi si accusa di odiare Urania e di non perdere occasione di darle contro, e dato che non mi interessa mettermi a disquisire sulla correttezza di certe affermazioni (che del resto ormai la mia opinione è viziata dal pregiudizio), mi limito a elencare qualche dato.
Questo il capo d'accusa :
"…nella foga di combattere il Grande Nemico del Fantastico Italiano (vale a dire quella meschina di Urania, Madre di Tutti i Mali), ti sei lanciato a testa bassa contro chiunque ti capitasse a tiro. Inutile fare l’elenco delle persone che hanno collaborato o pubblicato su Urania nell’ultimo anno e che sono finite nel tritacarne, il che rende comunque ormai prevedibili le tue prese di posizione. Ciò che continuo a non spiegarmi è l’ostinazione, che ha assunto i modi e le dimensioni di una vera e propria campagna."

Partiamo con l'esaminare quante volte io abbia parlato dei romanzi o delle antologie pubblicate da Urania e dintorni (Urania, Urania Collezione, Urania Millemondi, Epix) e di come mi sono espresso al riguardo.
Va bene se prendo come periodo di riferimento gli ultimi due anni?
Da gennaio 2009 a ottobre 2010 ho parlato di 26 volumi editi nelle summenzionate collane (27 se consideriamo che il romanzo di Alastair Reynolds è stato diviso in due volumi).
Di queste recensioni, 15 sono state positive, 5 sono state neutre e 6 sono state negative.
Qui di seguito trovate l'elenco dei link, con riferimento agli autori o ai titoli delle antologie. Un segno + sta per recensione positiva, un segno = sta per recensione neutra, mentre un segno - sta per recensione negativa:

Febbraio 2009:
Ken MacLeod = / Robert J. Sawyer +

Marzo 2009:
Joe Haldeman + / Jacques Spitz +

Aprile 2009:
Dario Tonani =

Maggio 2009:
Walter Tevis + / Ken MacLeod =

Luglio 2009:
Robert J. Sawyer + / Mauro Antonio Miglieruolo -

Settembre 2009:
Bad Prisma -

Ottobre 2009:
Ken MacLeod + / L'altra faccia della realtà + / Arthur C. Clarke +

Novembre 2009:
Francesco Verso -

Dicembre 2009:
Samuel Marolla + / Alastair Reynolds -

Gennaio 2010:
Vittorio Catani -

Febbraio 2010:
Anthony Boucher + / Joe Haldeman +

Aprile 2010:
Cordwainer Smith +

Maggio 2010:
Greg Egan + / Nicoletta Vallorani -

Luglio 2010:
Robert Silverberg =


E questo è per sottolineare come non perda occasione di parlar male delle proposte uraniche. (Tra l'altro qualche mese fa ho anche suggerito ai lettori del blog di acquistare e leggere il numero di Urania dedicato a John Harrison, non male per chi viene accusato di promuovere una campagna anti-urania.)



Andiamo avanti.
Oltre a parlare dei singoli volumi usciti per Urania e dintorni, nel corso degli anni ho discusso anche del ruolo avuto da Urania nel definire la percezione della fantascienza in Italia.
In quell'ambito sono stato molto critico nei confronti della rivista Mondatori. (i link sono qui: 1, 2, e 3).
Nonostante quel che pare essere un'opinione diffusa, in nessuna di quelle occasioni ho avanzato alcuna critica agli attuali curatori di Urania. Anzi, mi pare di aver esplicitamente scritto come nessuna colpa possa essere imputata a Giuseppe Lippi o a Sergio Altieri, che sono convinto facciano del loro meglio nei rispettivi ruoli.

Però è vero, tra gli oltre 300 post di questo blog, in quello scritto in data 25 agosto 2010, ho effettivamente criticato lo staff di Urania per i tagli che vengono praticati sui romanzi originali pubblicati dalla rivista. Giudicate voi quanto nelle mie parole siano ravvisabili "… toni sgradevoli […] nel loro voler apparire persuasivi e accondiscendenti mentre tra le righe serpeggiavano accuse di incoerenza, disonestà e opportunismo.".

Questo è quanto.
Aggiungo solo una postilla personale. Credevo di avere le spalle abbastanza robuste da sopportare qualsiasi polemica si potesse scatenare sul mio operato in rete. Nel corso degli anni ho assistito e partecipato ad alcuni momenti davvero terribili che hanno riguardato la vita e le relazioni della comunità fantascientifica nostrana. Ma mai mi era successo di percorrere quella che sembra essere una strada senza ritorno nei rapporti con una persona che ritengo tuttora una delle migliori tra tutte quelle che si occupano di fantascienza in Italia. Persona che per anni ho considerato uno dei miei più cari amici, dentro e fuori il fandom.
Non so come questa storia andrà a finire.
Però è davvero dura da mandar giù…

20 ottobre 2010

Letture luglio/agosto 2010 - terza parte


Picture by Iguana Jo.
Carlo D'Amicis - Escluso il cane
Qualche post fa parlavo di romanzi fighetti, intendendo con questo termine quelle opere in cui la presunzione dell'autore (che questa sia ideologica, artistica o retorica ha in fondo poca importanza) impedisce al lettore di godere appieno del libro che ha tra le mani.
Escluso il cane rientra a pieno titolo in questa definizione.
Ci rientra perché l'autore piega qualunque pretesa di realismo all'esigenza primaria di comporre un'opera fortemente ideologizzata.
Ci rientra per la presenza di un protagonista caratterizzato solo per i suoi difetti, che si vorrebbero magari surrealmente divertenti, ma che alla lunga risultano solo irritanti.
Ci rientra per la sovrabbondanza di spunti problematici - ma tanto, troppo, ammiccanti - che l'autore innesta nel corpo del romanzo senza un approfondimento degno di questo nome (la relazione del protagonista con il suo compagno, con la madre, con il commercialista; la moglie e la figlia del dottore; il sottobosco criminale; lo stesso cane del titolo).

In effetti per quanto l'idea forte del romanzo (il fondamentalismo de noatri, la fede dogmatica, il cinismo cattolico romano) sia condivisibile e apprezzabile, non è certo sufficiente a tenere in piedi un romanzo che stenta a reggersi sulle esili gambe della trama giudiziaria da una parte e del romanzo di formazione dall'altra. Se poi a questi difetti si aggiunge l'idea, non so se dell'editore o dell'autore stesso, di presentare Escluso il cane come un romanzo spiritoso, quando il presunto umorismo tende invece al patetico, si arriva forse a capire la delusione provata da questo lettore.
Un'ultima nota sulla scrittura di Carlo D'Amicis. La scelta di uno stile personale è sempre apprezzabile, non m'era però mai capitato di imbattermi in una tale quantità di parentesi all'interno di un romanzo. Arrivato a fine lettura posso dire che utilizzare l'inciso come unico tratto caratterizzante la propria scrittura non mi pare sia stata una scelta troppo felice.


Stephen King - Shining
Per la lettura di Shining devo ringraziare Elvezio Sciallis, che sulle pagine di Malpertuis ha invitato i suoi lettori a una discussione sul romanzo.
Con l'eccezione della saga della Torre Nera, che sto leggendo in questi mesi, la mia esperienza con i romanzi di Stephen King risale a parecchi anni fa. Avevo più o meno vent'anni quando lessi una manciata dei suoi romanzi. Ma Shining ancora mi mancava. Del resto avevo visto il film, quindi…

La storia della famiglia Torrance credo sia ormai nota ai più. Ma leggerla nella sua versione originale è stata comunque una piacevole esperienza.
Tra le note positive del romanzo c'è l'indubbia capacità di Stephen King di far crescere la suspance, dosando perfettamente gli avvenimenti, calibrando al millimetro i momenti di tensione e sviluppando la storia in un crescendo vertiginoso fino alla risoluzione finale della vicenda.
Certo, l'inizio può apparire un po' lento, quasi traballante nel suo incedere sincopato, due passi avanti e un'occhiata al passato, una sosta di riflessione e uno sguardo laterale. Ma poi la vicenda ingrana, le pagine scorrono veloci, l'azione si fa incalzante.
In effetti un dubbio mi ha accompagnato per buona parte della prima metà del romanzo: se le mie aspettative, in qualche modo frustrate dal passo estremamente lento del racconto, dipendessero dalla conoscenza pregressa di quel che sarebbe successo più avanti. Tanto da non vedere l'ora di assistere alle vicissitudine dei Torrance alle prese con l'Overlook Hotel per partecipare - finalmente! - all'esplosione delle relazioni tra i vari personaggi.

Tra i difetti di Shining vanno evidenziati la ricorsività di certe immagini, che se da un lato costituiscono un legame tra le varie fasi dell'evoluzione dei personaggi (penso per esempio alle vespe, reali o metaforiche, che accompagnano il lettore per tutto il romanzo, o all'alcolismo come epitome di ogni dipendenza, al cui riferimento non sfugge alcun personaggio), dall'altra risultano fin stucchevoli nella loro meccanicità.
Se l'abuso di certe immagini e situazioni appesantisce il passo del romanzo, quello che secondo me è il difetto principale di Shining rimane l'ambiguità con cui King tratta la degenerazione di Jack Torrance. O, per meglio dire, la risoluzione dell'equivoca ambiguità in cui l'autore infila a forza il suo protagonista.
La discesa di Jack Torrance nell'inferno della paranoia è resa magistralmente. Il lettore assiste impotente e partecipe alla progressiva distruzione di ogni freno inibitore alla furia atavica che lo contraddistingue. Stephen King è molto abile a centellinare ogni informazione che possa far luce sulle cause e le motivazioni che muovono il suo protagonista. Proprio per questo motivo non si capisce perché l'autore non riesca - o non voglia - fare il passo definitivo e condannare Jack alla sua dannazione personale, e decida invece di attribuire ogni responsabilità delle sue azioni allo spirito oscuro che domina l'Overlook.
Quanto sarebbe stato più potente e disturbante l'immagine di un padre che insegue il figlioletto sapendo benissimo quel che sta facendo?
Io credo che per la redenzione finale di Jack Torrance siano intervenuti un paio di fattori non secondari. A me piace pensare che la sovrapponibilità biografica tra autore e personaggio deve aver costituito un legame non facile da tagliare, ma poi, più razionalmente, penso alla considerazione, tutt'altro che marginale, sulla commerciabilità della sua narrativa, che Stephen King ha sempre avuto ben chiara nella sua carriera. Dopotutto un finale che limita il coinvolgimento morale del lettore ai minimi termini è decisamente più consolante - e quindi vendibile - di uno che chiede allo stesso lettore di mettere in dubbio le proprie certezze riguardo certi legami famigliari.
E poi naturalmente c'è sempre la possibilità che, con certe premesse, quello fosse l'unico risultato possibile. Del resto non ricordo di aver mai visto Stephen King muoversi al di fuori di una gabbia morale decisamente polarizzata e riconoscibile. Non per nulla i sui personaggi più memorabili si situano sempre in quella fascia d'età compresa tra l'infanzia e l'adolescenza, in cui etica e morale sono perfettamente sovrapponibili e il dubbio si limita all'aspetto più superficiale di qualsiasi scelta.

In ogni caso Shining, pur letto a oltre trent'anni dalla sua pubblicazione, rimane tuttora una lettura piacevole.
Forse soprattutto per chi, come me, pratica il genere horror solo lateralmente e nemmeno troppo spesso.

14 ottobre 2010

Venti canzoni


Picture by Iguana Jo.
Le regole del gioco le ha stabilite Davide qui. Io ci ho messo più di due settimane a sfornare l'elenco che segue: scegliere solo venti canzoni è stato più difficile di quanto credevo (non so più quante volte ho riscritto la lista in questi giorni, e se dovessi riscriverla domani sarebbe ancora diversa).
Ma non posso rimandare oltre, quindi bando agli indugi e via che andiamo.
In rigoroso ordine alfabetico questi sono i venti 45 giri virtuali che non mi stanco mai di ascoltare:

AC/DC - Highway to Hell / Back in Black
Gli AC/DC sono stati il primo gruppo capace di far tremare le casse del mio registratore. Il primo per cui ricevevo pressanti richieste di abbassare il volume. Per molti anni ho smesso di ascoltarli, ma mio figlio li ha appena scoperti. Bon Scott è ancora capace di tenerci buona compagnia.

David Bowie - Space Oddity / Heroes
Anche Bowie arriva diritto dritto dalla mia adolescenza. Ma certe canzoni non le scordi più.
Queste due rimangono tuttora tra le mie preferite.

Nick Cave - The Mercy Seat / Babe, I'm on Fire
Il fantasma di Nick Cave mi perseguita da anni. E sono anni in cui la sua musica è stata un continuo crescendo. Ho scelto The Mercy Seat per la sua carica devastante, Babe, I'm on Fire perché nonostante il disco da cui provenga non sia certo memorabile, la progressione di questo pezzo lo è alla grande.

The Clash - London Calling / White Riot
Difficilissimo scegliere un pezzo, forse ancor più complicato sceglierne due. Ma tant'è. Ecco i Clash.

Eddie Cochran - Summertime Blues / C'mon Everybody
Da qualche parte bisogna pure cominciare. E la musica di Eddie Cochran era la più sporca e cattiva tra i rocker delle origini.
Energia grezza.

Dresden Dolls - Coin-Operated Boy / Girl Anachronism
I Dresden Dolls sono in questo elenco in rappresentanza della musica che ascolto di più in questi ultimi tempi, Se la sono giocata con una delle varie incarnazioni di Jack White e con i Gogol Bordello. Ha vinto Amanda Palmer, ma è stata dura.

Jimi Hendrix - Voodoo Child / Crossroad Traffic
Uno spazio per Jimi Hendrix ci sarà sempre, dovunque e comunque. Questa è storia.

Nirvana - Smell Like Teen Spirit / Come As You Are
Nevermind è stato il primo CD che ho comperato quando mi sono finalmente potuto permettere uno stereo. Una boccata d'aria fresca (si fa per dire) in un periodo in cui facevo fatica a trovare la strada giusta.

Pearl Jam - Rearviewmirror / Once
I Pearl Jam mi hanno regalato uno dei migliori tre concerti della mia vita e tra tutti i loro pezzi Rearviewmirror è la canzone a cui sono più affezionato. Per la B-Side la scelta è stata difficile. Ma Once è il primo pezzo del loro primo disco. E chi ben comincia…

Pink Floyd - Hey You / Wish You Were Here
Ho imparato l'inglese con i testi di The Wall. Anche se ormai li ascolto di rado, e più i primi dischi degli ultimi, un posticino per i Pink Floyd lo dovevo trovare.

Otis Redding - Try a Little Tenderness / (Sittin' on) The Dock of the Bay
Il Rythm & Blues, il Funky, il Soul, sono diventati una parte dei miei ascolti sempre più importante nel corso degli anni. Se il rock nel mio immaginario è rabbia ed energia, la musica nera è passione e godimento. Scegliere un solo autore o una sola canzone è impossibile, ma citare Otis Redding è obbligatorio.

R.E.M. - Everybody Hurts / The One I Love
Di certo i R.E.M. hanno composto canzoni più significative delle due che ho scelto. Ma a queste sono particolarmente legato, Bei ricordi, bella gente, ottima musica.

Sam & Dave - Hold on, I'm comin' / Soul Man
Hold on, I'm comin' risale al 1966 (gran bell'anno, lasciatemelo dire!) e non ha niente del suono patinato tipico Motown che ha dominato la scena R&B negli anni successivi, suono ed etichetta cui si deve il successo della musica nera tra noi visi pallidi. Sono tutt'ora molto grato ai fratelli Blues che me l'hanno fatta scoprire.

Sly and the Family Stone - If You Want Me to Stay / Underdog
Avrei potuto mettere in lista qualche pezzo di Prince, o di James Brown. Ho scelto Sly and the Family Stone per le buone vibrazioni che non smettono di trasmettermi.

Patti Smith - Dancing Barefoot / Because The Night
Patti Smith come i Clash come Nick Cave come Tom Waits è tra i pochissimi artisti che non ho smesso un attimo di ascoltare negli ultimi vent'anni. Scegliere un pezzo o due è una tortura. Beccatevi questi che mi permettono di infilare di soppiatto anche qualcosa del Boss nel mucchio.

Sonic Youth - Teen Age Riot / Sugar Kane
I Sonic Youth sono nell'elenco più per meriti assoluti, che per le singole canzoni scelte. Nel loro caso faccio fatica a isolare un brano dall'impatto complessivo di ogni singolo disco. Per me i Sonic Youth hanno rappresentato la scoperta delle qualità del rumore e il piacere della distorsione. Se devo pensare a un suono che abbia segnato il cambio di millennio, io penso a loro.

Stiff Little Fingers - Alternative Ulster / Tin Soldiers
Fino a pochi anni fa non avevo mai visto gli Stiff Little Fingers dal vivo. Vedere questi pimpanti cinquantenni ancora carichi, divertiti e divertenti, alle prese con le canzoni che hanno formato il mio gusto per questo tipo di sonorità è stata una specie di rivelazione. Provenendo da una terra altrettanto divisa, Alternative Ulster è un inno che m'è venuto facile far mio.

Suicide - Ghost Rider / Frankie Teardrop
La fantascienza che amavo (e che tuttora fa battere il mio cuore) fatta musica. È noto che William GIbson ai tempi di Neuromante ascoltava gli Steely Dan, ma per me il suono dello Sprawl è quello dei Suicide. Shock e poesia, anche senza chitarre.

U2 - One / The Unforgettable Fire
One è La canzone. Forse l'unica in questa lista per cui non ho avuto alcun dubbio. In One c'è tutto. Ma se per voi mancasse qualcosa, lo trovate in The Unforgettable Fire.

Tom Waits - Ol' 55 / San Diego Serenade
Negli oltre quarant'anni di carriera Tom Waits ha attraversato tutto lo spettro sonoro, dal pop al rumore, dal blues all'avanguardia, dal piano alle percussioni. Difficile decidere qual è il mio Tom Waits preferito. Ho deciso di puntare al passato, un po' per l'innegabile nostalgia, un po' perché certe canzoni viaggiano da troppo tempo insieme a me per poterle ignorare.


OK. È tutto. Ma che fatica!

Prossimamente le grandi assenti: le venti canzoni italiane che hanno fatto la (mia) storia. Iniziate a preparare le vostre liste!

06 ottobre 2010

Inception


Originally uploaded by BestLife Movie.
Certo che con un blog che si occupa per gran parte del suo tempo di fantascienza e dintorni diventa quasi obbligatorio spendere due parole su Inception. La sfida è riuscire a scrivere qualcosa di minimamente originale, capace di offrire qualche spunto in più a chi a proposito del film a ha già letto di tutto, a chi si appresta a vederlo e a chi invece si diverte a discuterne. Non so se ci riuscirò. Poi mi direte.

Il film è pazzesco. Ogni commento positivo letto in giro è giusto e sacrosanto. Non per niente quando siamo usciti dal cinema la prima reazione è stata verificare se avessimo una qualche trottola in tasca, che non si sa mai.
Però l'esaltazione immediata che un film come questo suscita non è sufficiente a spegnere qualche domandina fastidiosa, che non ha smesso di riecheggiare in sottofondo per tutta la visione della pellicola.
Lo so, ora mi beccherò del rompipalle integralista e pure un po' ossessivo, però… oh… quando una cosa non la capisco io chiedo.

Mettiamola così. Christopher Nolan è stato bravissimo a costruire un meccanismo narrativo in grado di avvolgere lo spettatore, sia sul piano della complessità apparente della trama (e ci voleva, vista la media da cerebrolesi del cinema popolare che va per la maggiore di questi tempi), sia al livello zero del bombardamento sensoriale, sia - e questa mi pare una novità nel cinema dell'autore britannico - dal punto di vista emozionale.
Sui meriti tecnici di Inception si son già spesi fiumi di byte. La sceneggiature, il montaggio, la messa in scena. Tutte cose formidabili. Stupore e meraviglia conducono lo spettatore per mano fino al degno finale. La struttura stessa del film è talmente coinvolgente che diventa difficile rimanere sufficientemente lucidi e distaccati da notare le incrinature nella costruzione del cinema-sogno nolaniano.

Ma anche se non pregiudicano l'immediato godimento del film, le piccole crepe colte durante la visione di Inception mi hanno lasciato un senso di prurito addosso. E cosa c'è di meglio di un blog per grattarsi via i dubbi?

I bambini.
La presenza dei figli dei Cobb non mi ha convinto fin dalla loro prima comparsa in scena. Per due motivi fondamentali. Tirare in ballo i fanciulli quale motore emotivo di un film è scelta troppo facile. Mostrarceli poi sempre soffusi nei toni blurrati e giallastri tipo nostalgia anni '70, non fa che acuire il senso di incredulità che li circonda. Avendo però a che fare con un regista che fa della complessità un suo punto di forza questa scelta m'è sembrata - almeno inizialmente - volutamente ingannatrice. Quando s'è rivelata effettivamente vera l'esistenza dei pargoli ha rischiato da sola di uccidere tutta l'intricata costruzione del film.
Anche perché quale genitore si ritira da solo nel mondo dei sogni - con tutte le conseguenze del caso - con due frugoletti come quelli che fanno palpitare il cuore di Dom DiCaprio Cobb?

La paranoia.
Ci sta che il gruppo di estrattori capeggiato da DiCaprio sia attivamente ricercato, però ecco, l'inseguimento a Mombasa non fa che confermare la teoria di Mal sugli illusori livelli di realtà (che btw era convincente al punto giusto). Ma questo è un dettaglio critico indotto dalla mia, di paranoia. Non fateci troppo caso.

Il quoziente di letalità dei proiettili.
Non se qualcuno di voi la fuori ha letto Scusate il disturbo di Christopher Brookmyre (se non l'avete fatto, fatelo. Mi ringrazierete). In quel romanzo compare una riflessione che riguarda l'uso delle armi da fuoco nei film d'azione che condivido al 100% e che vi voglio riproporre.
In questo dialogo con la signora Laurence, sua ex-prof d'inglese al liceo, parla il protagonista, Ally McQuade:
" - … Tutte le teorie volano dalla finestra quando guardo un film. Io voglio lasciarmi prendere dalla storia, i cliché la rovinano, ma le convenzioni fanno parte del gioco.
- La sospensione dell'incredulità.
- Già. Qualcosa del genere. Sono pronto a mandar giù qualunque cosa, basta che il film rispetti un certo quoziente di letalità dei proiettili.
- Cioé?
- Ogni film d'azione stabilisce i propri canoni sulle armi da fuoco. In alcuni, ogni proiettile è potenzialmente letale. Persino il vecchio colpo alla spalla può sembrare pericolosamente vicino al petto. In altri, invece, le mitragliatrici sembrano le armi più innocue mai costruite dall'uomo. Per chiarire, a un'estremità dello spettro ci sono i film di Tarantino. Al di là della loro reputazione, lì non si spara molto, per cui quando qualcuno spara, fa sul serio, e di solito il proiettile è mortale. Un alto quoziente di letalità dei proiettili.
All'altro estremo ci sono i film di John Woo: miliardi di proiettili che colpiscono soltanto il vetro. Un basso quoziente di letalità dei proiettili. In un film a quoziente alto, se il cattivo prende di mira qualcuno, ci si devono aspettare litri di ketchup. In un film a quoziente basso, sarà solo una giornataccia per il portiere. A me stanno bene entrambi i tipi, purché le regole vengano seguite come si deve.
" (Scusate il disturbo, Meridiano Zero, traduzione di Vittorio Curtoni)

Con queste premesse Inception pare un film totalmente sballato, con un quoziente di letalità dei proiettili tanto incoerente da risultare indigesto. Sarà un dettaglio, ma per me è un dettaglio capace di compromettere il piacere della visione.
Oltretutto, vedere questi geek del sogno trasformarsi in tiratori scelti, in sciatori provetti, in quelli che a tutti gli effetti sembrano piccoli emuli del miglior James Bond, m'è parso un filo eccessivo. OK che saran cresciuti a pane e PS3 e che dal punto di vista dello spettacolo tutto funziona perfettamente, però…
(Poi è anche vero che se il sogno è mio, me lo gestisco io. Superpoteri, sparatorie e tutto.)


Fortunatamente tutti questi pruriti - che forse condividete, o magari no - non mi impediscono affatto di godere del piacere che comunque un film del genere mi procura. Solo ne avrei voluto di più, e di meglio.
Come dicevo all'inizio del post, queste non sono critiche che intaccano la sostanza di Inception, che rimane un gran bel giocattolo cinematografico, uno di quei film da rigirarsi tra le mani per vedere ogni volta un dettaglio diverso e allo stesso tempo una pellicola capace di proiettarmi in un'altra realtà. Dopotutto essere sommersi da alluvioni sensoriali di tal portata è un po' il motivo che ci porta al cinema.

O no?

05 ottobre 2010

La notte dell'iguana vivente

L'ho già scritto. Per me settembre è il mese più duro dell'anno. Ma ora (finalmente!) è finito e pur con qualche affanno sono in netta ripresa.
Per risollevare definitivamente le sorti di questo povero rettile ci voleva proprio un appuntamento come La notte dell'iguana vivente.
Cosa c'è di meglio che incontrare qualche amico per un pranzo a base di cibo e beveraggi e chiacchiere (più o meno) fantastiche?
L'appuntamento è fissato per sabato 16 ottobre. Tutti i dettagli li trovate qui.
(lo so lo so, in realtà la notte sarà un mezzogiorno di fuoco, però il giorno è lungo e la notte inevitabile)

Ci si vede tra le colline piemontesi!

(Non so chi sia l'autore della foto qui sopra. Me l'ha girata un amico che dovrebbe averla recuperata dal sito del National Geographic. Dovesse saltar fuori il nome del fotografo non mancherò di aggiornare i relativi crediti.)

04 ottobre 2010

Letture luglio/agosto 2010 - seconda parte


Picture by Iguana Jo.
Geoff Dyer - Paris Trance
Ma che libro inutile Paris Trance. Non so nemmeno più cosa mi ha attirato verso questo volume, forse un equivoco sul nome dell'autore, forse la fiducia nell'editore (finora Instar non mi aveva mai deluso). Se ho deciso di leggerlo quest'estate, dopo anni di limbo sullo scaffale dei libri in attesa di lettura, è stato per prepararmi alla nostra vacanza francese, probabilmente a causa del titolo e del bugiardino. Di sicuro mi aspettavo qualcosa di più.
In questo romanzo si raccontano le vite di quattro tizi di cui non mi sarebbe potuto importare meno, delle loro chiacchiere a proposito di cinema e altre amenità, del loro perdere tempo da stranieri a Parigi senza nulla di interessante da comunicare. Il tutto condito con qualche scena di sesso e un sacco di buchi nei momenti potenzialmente più interessanti, con immagini potenti e retoriche gettate in faccia al lettore senza alcuno sforzo di approfondimento (il cervo sanguinante, cazzo!), e un senso di progressiva noia e irritazione man mano che si procede nella lettura.
Se mai m'è capitato di leggere un romanzo fighetto, e per romanzo fighetto intendo quel genere di libro in cui l'autore fa di tutto per convincerti di essere migliore di lettore e personaggi, forte di premesse valide solo nella sua testa (che queste siano il suo presunto talento d'autore, il contenuto imprescindibile del suo testo o la qualità della sua scrittura, è un dettaglio irrilevante al fine del risultato) sbattendosene allegramente di ogni altro aspetto del suo operato, beh… Paris Trance è quel romanzo.


Jonathan Lethem - Chronic City
L'ho già detto quanto ammiro e rispetto Jonathan Lethem? Chronic City è l'ultimo tassello in un percorso che mi pare sempre più chiaro e delineato, che parte dalla fantascienza e arriva alla ridefinizione del quotidiano, passando per il recupero della memoria e il tentativo mai concluso di riconciliare gli opposti aspetti della nostra realtà condivisa.
In Chronic City si assiste al mirabile equilibrismo di Chase Insteadman, ex ragazzo d'oro della televisione americana, preso in mezzo tra tensioni controculturali e sfoggio di potere, tra la vita di strada e quella di Park Avenue, in una città, New York, presa d'assalto da forze incomprensibli e preda di se stessa.
Jonathan Lethem cerca l'ennesima sintesi tra arte e vita, tra ideale e pratica, tra conoscenza e pregiudizio, cercando di accostarsi al potere che muove le cose senza rimanerne soffocato. E lo fa con un garbo e un'umiltà inconsueta, con una compassione per il destino dei suoi personaggi che non diventa mai patetica o paternalista, che vira anzi verso un'apparente freddezza, per rendere accessibile al lettore una zona del disastro che risulterebbe altrimenti insopportabile.
In effetti nella New York messa in scena da Jonathan Lethem mi pare riecheggi molto dello spirito catastrofico ballardiano, con una differenza fondamentale: tanto le rappresentazioni dell'autore inglese erano cliniche, glaciali e distaccate, tanto quelle dell'americano risultano emozionanti e partecipate. Come se Lethem avesse deciso di esplorare la zona dall'interno, rifiutando il ruolo di semplice osservatore, cercando come Ballard di penetrare i meccanismi del spazio interno ribaltandoli nell'architettura della città e nelle relazioni tra i suoi abitanti, ma lasciando che l'umanità randagia delle sue storie sporchi (e arricchisca!) il panorama, piuttosto che offrircene uno spaccato documentaristico scevro di ogni possibilità di redenzione.
Chronic City è un racconto sul destino della nostra civiltà, sulle contraddizioni che la mantengono al limite dal suicidio, a guardare il cielo, a riconoscere uno schema, e quindi a costruirci sopra, costi quel che costi.
Chronic City è un tentativo di sopravvivenza.

27 settembre 2010

Weird Tales in italiano?


La settimana scorsa mi è arrivata la consueta newsletter dalla Wildside Press, editore americano di Weird Tales.
Tra le altre cose riportava, non troppo evidenziata, questa succosa notizia:
"An Italian-languaged edition of Weird Tales will be appearing soon, so international readers will have another option in months to come."

Ho provato a fare una rapida ricerca in rete ma tutto tace.
Voi ne sapete qualcosa di più?

21 settembre 2010

Giallo vs. Fantascienza


Picture by Iguana Jo.
La settimana scorsa tutto il mio (poco) tempo libero dedicato alla rete se n'è andato in una lunga e accesa discussione sulla Mailing List di Fantascienza (FML) che partendo dai tagli ai romanzi pubblicati da Urania è arrivata - inevitabilmente, visto che sull'argomento non riesco a proprio a tacere - a parlare di come la rivista mondadoriano abbia contribuito a plasmare la fantascienza italiana.

Tra i vari spunti dibattuti in lista la questione "giallo vs fantascienza" merita un trattamento privilegiato, perché in effetti è l'argomento che più spesso viene evocato per respingere la mia tesi secondo cui l'ingombrante presenza di Urania in edicola ha di fatto impedito il formarsi di una nuova generazione di lettori di fantascienza frustrando ogni tentativo editoriale che si proponesse di (ri)portare il genere in libreria (per approfondire ecco i soliti link: 1, 2 e 3).

Scrive Paolo:
"Alla fantascienza manca tutto quell'hype, quella carica e massa critica che invece ha avuto il giallo. Che pure, da narrativa di genere, piena di personaggi improbabili e maggiordomi assassini, è diventato ben accetto non solo dai lettori abituali, ma pure da tutti gli editori.
Chi ha decretato il successo del /giallo/ in Italia? I lettori del giallo mondadori che chiedevano più qualità? Sandrone Dazieri, se non ricordo male un incontro da Tecla, diceva che il lettore del GM è tradizionalista come (più) di quello di Urania, e se gli proponi un qualcosa di strano, innovativo, etc, te lo tirano dietro.
Ma allora, da dove arrivano i lettori e le collane da libreria?"


Perché dunque al giallo è riuscito il salto dall'edicola alla libreria, e alla fantascienza no? Perché il genere giallo ha mantenuto, se non accresciuto, il suo parco lettori e invece noi che leggiamo fantascienza siamo una specie in via d'estinzione?
Provo si seguito ad abbozzare una risposta. Ogni ulteriore elemento è come sempre benvenuto.

Sono convinto che il successo del giallo presso il pubblico generalista dipenda da quelle caratteristiche intrinseche al genere che lo rendono lettura decisamente più accessibile di quanto succeda generalmente con qualsiasi opera fantascientifica.
Nel genere giallo il lettore ha a che fare con una realtà che non richiede nessuna particolare collaborazione da pare sua per essere compresa, un ambiente che per quanto possa essere lontano (geograficamente, socialmente, culturalmente) mantiene intatti e comprensibili la maggior parte dei riferimenti.
L'approccio del lettore ad un'opera fantascientifica è in genere decisamente più complesso. Una storia che si svolge in un'altra realtà, per quanto quest'ultima possa essere legata a quella condivisa dal lettore, lo costringendo comunque a ricalibrare i sui parametri e ad esercitare uno sforzo di comprensione maggiore del suo omologo lettore di gialli.

Altro elemento che agevola il consumo di letteratura gialla e che rende i suoi romanzi tra le letture più rilassanti e scacciapensieri - di fatto l'unica letteratura popolare sopravvissuta al nuovo millennio (insieme a quella rosa) - è l'estrema canonicità di storie, personaggi, ambienti.
Le trame caratteristiche delle storie gialle, procedendo immancabilmente verso una conclusione definitiva, che riporta ordine partendo da una situazione caotica, sono di fatto conservative e consolatorie.
Non che storie di questo tipo non siano tipiche anche di molta fantascienza. La differenza fondamentale sta però nell'impossibilità per il lettore di stabilire a priori il canone cui si rifà quella determinata storia fantascientifica.

Per aggiungere difficoltà a difficoltà si aggiunge anche il linguaggio, che per molta della fantascienza attuale è legato a doppio filo con le frange più d'avanguardia e speculative di scienza e tecnologia, che spesso necessitano di un alfabeto - o almeno di un lessico - non sempre condiviso con il lettore generalista.

Detto in altre parole, la fantascienza, al contrario del giallo, non è più letteratura popolare.
La fantascienza è diventato un genere letterario che può soddisfare solo una nicchia del pubblico dei lettori. Trattarlo, qui e ora, nel 2010, come se i suoi numi tutelari fossero ancora Asimov, per i lettori di bocca buona, e Dick, per quelli più sofisticati, significa aver perso di vista quello che il genere sta offrendo ai suoi lettori nel resto del mondo. Significa ignorare l'esistenza potenziale di un pubblico che non sa nemmeno cosa si sta perdendo. Significa soprattutto aver chiuso gli occhi al futuro, ed essere destinati per questo al suicidio editoriale.

14 settembre 2010

Intervallo


Picture by Iguana Jo.
Avrei dovuto proseguire l'elenco delle mie letture estive. Avrei voluto parlare di qualche film visto di recente e discutere di un paio di cose che mi continuano a ritornare in mente.
Ma siamo a settembre che dal punto di vista lavorativo è il mese peggiore dell'anno. Come se non bastasse mi sono lasciato coinvolgere in una discussione su voi-sapete-cosa all'interno della Mailing List di Fantascienza.
Insomma, se capitate da queste parti alla ricerca di qualche nuovo post o per discutere di qualche lettura o semplicemente perché non avevate niente di meglio da fare, beh… portate pazienza.
Prima o poi dovrei riuscire a postare qualcosa di nuovo.

03 settembre 2010

Letture luglio/agosto 2010 - prima parte


Picture by alchimilla.
Terry Pratchett - Il prodigioso Maurice e i suoi geniali roditori
Terry Pratchett è uno di quei nomi che mi perseguita da quando sono sbarcato in rete e ho potuto annusare l'aria che tira tra gli appassionati di fantasy e fantascienza britannica. Leggevo le note che seguivano l'uscita dei vari romanzi con un misto di invidia e curiosità e non vedevo l'ora di poter metter le mani su qualche romanzo dell'autore inglese.
Quando però m'è capitato di leggere qualcuna delle prime traduzioni sbarcate in Italia, l'entusiasmo è via via calato. Sarà dipeso sicuramente dalla difficoltà di rendere nella nostra lingua la ricchezza di riferimenti e giochi di parole dell'inglese di Pratchett, ma alla lunga il suo umorismo, per quanto gradevole, tendeva ad annoiarmi.
Poi ho letto Good Omens e le cose sono cambiate: quel romanzo rientra tuttora nella mia personalissima top five dei libri più divertenti io abbia mai letto. Sulla copertina di quel libro, oltre al nome di Pratchett, c'era però anche quello di un tizio che avevo iniziato ad apprezzare dalla sua lunga frequentazione col Signore dei sogni. Forse per questo motivo nel mio giudizio il merito di quel libro se l'è preso in gran parte Neil Gaiman.
Ma il dubbio di aver sottovalutato Terry Pratchett non mi ha lasciato.
Almeno fino a un paio d'anni fa, quando ho finalmente visto la luce sotto forma di agile romanzo per ragazzi. L'intrepida Tiffany e i piccoli uomini liberi è puro genio in abiti da fanciullo. Un romanzo capace di parlare della vita, l'universo e tutto quanto con la grazia di un numero da circo eseguito per pochi intimi. Un capolavoro capace di riabilitare in un sol colpo tutta la dozzinale letteratura fantasy scritta nel mondo nei decenni precedenti.
Ed è normale che dopo un libro del genere mi sia rimasta la voglia di leggerne ancora, di leggerne di più. Il prodigioso Maurice e i suoi geniali roditori sembrava il titolo migliore per ritrovare lo stesso spirito che tanto avevo apprezzato in quel romanzo: meta-fantasy divertente con un occhio di riguardo per i giovani lettori ma nessun compromesso rispetto alla qualità della narrazione.
Diciamolo subito, Il prodigioso Maurice e i suoi geniali roditori non raggiunge le vette de L'intrepida TIffany. Scritta un paio d'anni prima, la storia di Maurice, del suo amico pifferaio e della compagnia di topi con cui viaggiano è servita probabilmente a Pratchett per testare nuovi ambiti d'azione, e preparare il terreno per l'arrivo della ragazzina in cerca del fratellino scomparso. Ma non di meno Il prodigioso Maurice è un ottimo romanzo, che pur giocando con i cliché della favola e del fantasy non si riduce mai a satira o parodia, ma vive di una sua qualità autonoma, non disdegnando una capatina nei dintorni della paura, dell'inquietudine e di una realistica speranza.


Hal Clement - Stella Doppia 61 Cygni
Stella Doppia 61 Cygni è hard-sf d'epca, ma con un gran bel tiro e una miscela di avventura ed estrapolazione scientifica che resiste agilmente, nonostante i suoi quasi sessant'anni, ai rigori del tempo. Non sono un particolare fan della fantascienza rigorosa e ultraortodossa (in senso puramente scientifico) come questa di Hal Clement. L'hard-sf mi interessa di più quando l'estrapolazione scientifica si coniuga alla riflessione sulle ricadute umane del'innovazione tecnologica (vedi Egan e compagnia, tanto per intendersi), ma nonostante tutto Stella Doppia 61 Cygni m'è piaciuto, forse proprio per la sua natura di meccanismo perfettamente oliato e a prova d'errore, senza nessun altro impegno se non quello della fedeltà alle leggi universali della gravitazione.


Jeffrey Ford - La forma dell'ombra
Meraviglie della rete. Questo libro mi è stato spedito da Jeffrey Ford in persona, con tanto di firma autografa, grazie alla generosa intercessione di Marco, che in questo modo mi ha obbligato a leggerlo e a parlarne.
Lo dico subito, La forma dell'ombra non mi ha convinto. Il dubbio è che più degli eventuali difetti del romanzo contino nel mio giudizio le mie idiosincrasie di lettore, che non ne può più di romanzi per adulti con protagonisti che vanno ancora alle elementari e che, per non farsi mancar nulla, hanno pure il loro bel serial killer maniaco del caso.
Andiamo con ordine. La forma dell'ombra parte alla fine di un imprecisata estate intorno alla metà degli anni sessanta e racconta il mistero di un oscura presenza che porta l'angoscia e il terrore nel paese del giovane protagonista, che con i suoi due fratelli cerca di risolvere il problema, rimanendone invece sempre più invischiato, cercando contemporaneamente di sopravvivere alla scuola e ai bulli del paese.
Tralasciando ogni commento sulla traduzione del romanzo (specialmente quella della prima parte, in cui ci sono frasi e situazioni che ho fatto davvero fatica a decifrare) a me pare che il punto di forza della storia sia la resa della famiglia del protagonista. Famiglia che nonostante i suoi evidenti limiti - per tutto il corso del romanzo sarà caratterizzata più per le sue assenze, che non per il suo ruolo di guida e protezione - assurge progressivamente a polo positivo della vicenda in contrapposizione all'ingombrante presenza dell'esterno, la cui ansia di controllo e repressione (che provenga dalla scuola, dal vicinato o dallo stesso uomo nero che perseguita il paese) è il vero ostacolo al bisogno di spazio e autonomia dei ragazzi di cui seguiamo le vicende.
Uno dei punti deboli della vicenda sta nella caratterizzazione e nella gestione del cattivo che, nonostante l'efferatezza dei suoi crimini, appare essere in definitiva assai meno pericoloso dei compagni di classe del protagonista, dimostrandosi soprattutto parecchio stupido, a giudicare almeno da quanto è dato sapere sulle sue scelte e sui suoi comportamenti.
Il difetto sostanziale del romanzo sta però nella decisione dell'autore di tirare in ballo il fantastico per risolvere e chiudere la vicenda.
Su questo punto un approfondimento mi pare obbligatorio.
Credo di essere in grado di accettare qualsiasi evento meraviglioso l'autore decida di propinarmi anzi, l'intromissione del fantastico in una storia apparentemente mainstream è una perversione narrativa che apprezzo molto! A patto però che l'aspetto soprannaturale non sia una semplice stampella messa lì a sorreggere una storia che altrimenti si affloscerebbe.
La forma dell'ombra si situa a metà del guado. Da una lato l'autore sfrutta ottimamente le capacità speciali della sorellina del protagonista per aggiungere prospettive inedite e qualche turbamento alla narrazione, dall'altro c'è la decisione di risolvere il thriller con una scorciatoia (non approfondisco per non rovinare la sorpresa ai lettori) che spegne la storia senza offrire in cambio nulla di indispensabile dal punto di vista della narrazione o di altrettanto potente dal punto di vista emotivo. In mezzo ritroviamo diversi episodi che vorrebbero incuriosire (o inquietare) ma che invece distraggono sia dal realismo esasperato dei rapporti del nucleo familiare del protagonista, sia da un possibile esito esplicitamente fantastico della vicenda.
Il risultato è che arrivato a fine lettura non riesco a giudicare se Jeffrey Ford sia stato troppo onesto, rischiando le debolezze della confezione thillerosa per racchiudere tutta la vicenda in una scatola fatta di memorie infantili (notoriamente fallaci) o troppo furbo, puntando sul facile appeal che da sempre spettri e fanciulli esercitano sul lettore sensibile.
Ma forse La forma dell'ombra è semplicemente un buon romanzo senza troppe ambizioni e sono io ad essere rimasto vittima di qualche menata e pregiudizio di troppo.
Leggetelo, e fatemi sapere la vostra opinione.


Gardner Dozois (a cura di) - Il meglio della SF/II
Seconda parte del volume che raccoglie il meglio delle raccolte annuali dedicate ai migliori racconti fantascientifici curate da Gardner Dozois dal 1985 al 2005.
Qui c'è il meglio del meglio quindi, se siete curiosi di conoscere cosa abbia prodotto la letteratura di fantascienza negli ultimi tempi, questo è il volume giusto.
Poi certo, messo di fronte al dover compilare un'antologia come questa ogni appassionato avrebbe stilato una lista diversa. Ma Gardner Dozois è un uomo di buon gusto e vaste conoscenze e le sue scelte sono degne di rispetto (forse il vincolo più stringente di questa antologia è il limite di un singolo racconto per ogni autore presente). In ogni caso se pure nel suo elenco avrei cambiato qualche titolo, non gliene faccio certo una colpa.
Ma qua si sta cercando il pelo nell'uovo, che da qualsiasi prospettiva la si guardi Il meglio della SF è davvero un'antologia superlativa.