28 aprile 2010

Take the Ball and Run!


Originally uploaded by Iguana Jo.
Non sono un giocatore di rugby.
Per quanto abbia sempre apprezzato questo sport e nonostante vent'anni fa alcuni dei miei migliori compagni d'avventura fossero rugbisti doc, quando avrei avuto l'età giusta non avevo né il fisico né la forma mentale più adatta per dedicarmi seriamente allo sport. Di giocare a rugby poi, nemmeno a parlarne…

Più o meno un anno e mezzo fa sono cambiate un po' di cose. Non che nel frattempo io abbia messo su il fisico o chissaché. Anzi.
Diciamo che, accompagnando i figli agli allenamenti (di rugby, ovviamente!), la voglia di farsi qualche sgroppata sul campo è cresciuta progressivamente. A questo aggiungeteci un paio di genitori (ovviamente tutti ex-rugbisti che da poco avevano ripreso l'attività sportiva) con i loro "solo per tenersi in forma chetticredi?" oppure "giusto per farti una corsetta, mica devi giocare…" ed ecco che mi si sono spalancate le porte del rugby.

Per farla breve, che tra le altre cose grazie al rugby ora c'ho pure un braccio steccato (e quando ti chiedono"ma cosa ti sei fatto?" e tu "ho preso una botta giocando a rugby" gli sguardi passano nel giro di qualche secondo dal compatimento, all'incredulità al "…pensa te, chi l'avrebbe mai detto…" e ritorno), da un po' di tempo faccio allenamento e gioco con gli ex-giocatori del Modena Rugby.

OK. Non è che giocando con gente che da venti/trent'anni fa viaggiare la palla ovale, gente che è arrivata fino in serie A, nel giro di pochi mesi io abbia imparato cosa vuol dire giocare a rugby.
Diciamocela tutta, come rugbista sono decisamente scarso. Però non me ne frega un granché dal momento che, capace o meno, mi diverto un bel po'. E male che vada posso sempre fare qualche foto.
Dieci giorni fa, al mio secondo torneo, ho anche partecipato al glorioso tuffeta dei Modena Veterans.
Cosa chiedere di più? Un tour nella terra del rugby? Fatto!
A metà maggio andrò in trasferta con i miei compagni di squadra dalle parti di Bristol per un triangolare con una squadra francese e una rappresentativa inglese.

Poi certo, avere più di quarant'anni e godersela come ragazzini a scontrarsi con altri vecchietti in giro per il mondo forse non la racconta molto giusta sulle mie capacità intellettive.
Però oh… tuffeta-tah…!

22 aprile 2010

Ancora sulla fantascienza italiana (poi per un po' basta, promesso)


Picture by Iguana Jo.
Nonostante mi fossi ripromesso di astenermi - non per chissà quale nobile o imprescindibile motivo, semplicemente per non annoiare quei tre amici lettori che mi ritrovo - mi è toccato scrivere l'ennesimo post sullo stato della fantascienza italiana. Lo so, ho rotto le palle, ma ve lo dico da subito; se non siete tra quelle quattro persone a cui interessa il dibattito saltate tranquillamente il post. Prometto solennemente che nel prossimo NON si parlerà di fantascienza.

Questo post nasce da una costola del post del 15 aprile. Nello spazio commenti di quel post è intervenuto Carmine Treanni, curatore dello speciale di Delos sulla fantascienza italiana, che ha replicato con spirito costruttivo e dovizia di argomenti agli appunti che facevo al contenuto di quello speciale.
Qui tento di chiarire ulteriormente la mia opinione in merito.

La critica sostanziale che facevo allo speciale di Delos era l'approccio in qualche modo accondiscendente nell'affrontare la questione della qualità della fantascienza prodotta in Italia.
Proprio perché il genere sta godendo di una certa fioritura - almeno a livello produttivo - (e guardate che ne sono ben felice; checché ne dicano in giro, io sono decisamente a favore della buona fantascienza ovunque venga prodotta!) sono convinto che sia necessario raddoppiare gli sforzi critici per esaltarne gli aspetti migliori e censurare senza mezzi termini i tentativi velleitari e/o pretenziosi che rischiano di riportarci alla triste situazione in cui ci si trovava fino a una decina d'anni fa. Certo, fare i dovuti distinguo tra prodotti buoni e meno buoni è attività difficile e rischiosa, legata com'è alla soggettività, all'esperienza e alla reputazione del dato recensore, ma credo che sia su questo terreno che si giochi una partita fondamentale per il futuro della fantascienza. Per questo motivo mi sarei aspettato anche da Fantascienza.com, che rimane lo spazio più autorevole a trattare il genere in italia, un approccio più critico nei confronti di quanto disponibile sul mercato.

A margine di questa constatazione mi chiedevo se, stante la qualità media delle proposte fantascientifiche italiane, fosse giusto privilegiare la pubblicazione di autori nostrani piuttosto che privare il pubblico italiano di opere e scrittori che stanno facendo la storia del nostro genere preferito.

Qui credo ci siano le divergenze più profonde tra la mia opinione e quella di Carmine Treanni.
Carmine scrive che preferisce parlare di fantascienza scritta in italia piuttosto che di fantascienza italiana. Non potrei essere più d'accordo. Per questo motivo mi chiedo: se l'origine geografica del prodotto è indifferente, e quel che conta è unicamente la qualità, perché dovrebbe essere preferibile privilegiare la produzione nazionale piuttosto che quella straniera?
A me non interessa tenere la contabilità geografica degli autori. Mi interessa leggere storie capaci di meravigliarmi, sorprendermi, turbarmi. La mia posizione da lettore e appassionato è: benvenga la fantascienza nostrana, ma che la si pubblichi applicando gli stessi standard che si adottano per il resto della produzione mondiale. Vi pare un approccio così assurdo?

La fantascienza italiana vive, viene pubblicata e viene consumata in una costante tensione tra due forze opposte e ugualmente deleterie: c'è chi la detesta per partito preso, chi non crede nemmeno possa esistere, chi non perde occasione per dare addosso a chiunque osi solo accennarne (ma questo partito mi pare in leggero calo nell'ultimo periodo) e chi invece al contrario la esalta aprioristicamente, chi la sostiene senza neppure leggerla (conosco scrittori che han sempre comperato ogni volume di fantascienza italiana pubblicato, pur di contribuire in qualche modo alla causa), chi si entusiasma al minimo accenno di italianità comparso in un testo. E poi ovviamente ci sono i tifosi: i parenti e gli amici dell'ultimo autore appena pubblicato, gli ultras dello sberleffo e della critica oggettiva del testo e compagnia cantante…

Da quando frequento il fandom - e sono ormai una buona dozzina d'anni - ho sempre visto la fantascienza italiana vivere in un regime di trattamento speciale. Ma quali sono le ragioni profonde che inducono chiunque se ne occupi a considerare la fantascienza scritta in Italia come un mostro alieno?
Perché solo a nominare le parole fantascienza italiana si devono suscitare sempre tali vespai?
Perché qua in giro siamo tutti così suscettibili? È una caratteristica genetica del lettore fantascientifico o è una tara ambientale?
Prendendo spunto da quel che scriveva Carmine provo a elencare qualche risposta, se volete contribuire fatevi sotto…


- è una questione culturale.
Nell'intervento di Carmine Treanni questa "questione culturale" assume un aspetto ben più positivo di quel che usava essere (si deve pubblicare la sf italiana perché siamo in Italia, perdio!). Nelle sue parole si presume un'apertura dell'industria editoriale al prodotto fantascientifico italiano. Fosse vero sarebbe meraviglioso, perché significherebbe prima di tutto uno sdoganamento della sf tout court.
Invece, se di apertura si tratta, questa riguarda due/tre editori: Mondadori, (o meglio la sua divisione editoriale per le edicole), DelosBooks che però una certa attenzione alla produzione nostrana l'ha dimostrata sin dalle sue origini (vedi i volumi di Zunic e Cola editi dalla sua incarnazione editoriale primordiale) e poi chi altri? A beh… Elara, che però se non la cerchi difficilmente la incontri sul tuo cammino. Insomma a me pare che tolta la corazzata Urania, ci siano da festeggiare ben poche aperture culturali che dir si voglia.

- se non li pubblichi non crescono.
Quest'affermazione ha certamente un fondo di verità. Senza una scena viva e pulsante difficilmente si creano le premesse perché nuovi scrittori possano nascere e sviluppare le loro doti. Ora mi chiedo, quale scena fantascientifica potrà mai nascere in Italia, se andando in libreria non si trova praticamente nulla di quel che di buono viene pubblicato nel resto del mondo?
Insomma prima di coltivare un vivaio di scrittori sarebbe il caso di darsi da fare a crescere una generazione di lettori. E secondo me più roba buona si rende disponibile più è probabile che Tizio o Caio si mettano a scrivere opere ispirate. Si torna quindi al discorso iniziale: pasturateci a libri ottimi e vedrete che i frutti non mancheranno. Dateci la solita fuffa e altra fuffa leggerete (vedi ben la scena fantasy, per un esempio non troppo campato in aria).

- e il lettore dov'é?
a me pare che molti dei problemi della scrittura di genere in italia siano dovuti a una sorta di autorcentrismo dell'ambiente. La maggior parte dei personaggi attivi nel fandom è formata da scrittori wannabe (oltre che da qualche scrittore vero, prontamente invidiato / esaltato / deriso / acclamato dalla claque del caso). Il 90% delle figure che ruotano intorno alla catena produttiva sono anch'essi autori part-time. Per quella che è la mia esperienza la cosa più importante per molte di queste persone è arrivare alla pubblicazione (l'editore è indifferente, l'edizione pure, la distribuzione un dettaglio, etc etc). Dal loro punto di vista, assolutamente legittimo, essere pubblicati corrisponde ad una sorta di consacrazione. Ora Sono Uno Scrittore.
I motivi di questo stato di cose sono da attribuire ai più diversi motivi: il fatto che l'industria culturale italiana ha sempre disprezzato il genere, costringendo chiunque avesse qualche velleità autoriale ad arrangiarsi; il conseguente dilettantismo nei suoi aspetti migliori (l'entusiasmo) e peggiori (la scarsa professionalità); quella strana cosa che è l'orgoglio del ghetto; il nascere di dinamiche amicali perverse (se hai una persona piazzata al posto giusto si aprono le porte al clan).
Nessuno di questi fattori è il male incarnato, ma tutti contribuiscono ad un circolo vizioso la cui unica vittima è la qualità della narrativa e l'unico a rimetterci è il lettore. Sì, proprio quel lettore che tutti cercano, ma che nessuno sembra mai voler porre al centro del suo lavoro.

- che abbiano ragione gli uffici marketing?
gli uffici marketing dominano i colossi editoriali e odiano la fantascienza e quel che è peggio odiano i lettori di fantascienza. Il loro piano è eliminarci tutti uno a uno eliminando la letteratura che ci sostiene e che potrebbe portarci alla moltiplicazione incontrollata.
Ci odiano, non c'è dubbio. Altrimenti come spiegare l'assenza ormai decennale di una qualsiasi collana libraria dedicata alla fantascienza? (no, voi di Delos non fate eccezione, voi non avete un ufficio marketing!)
Se c'è una cosa che odiano di più della fantascienza è senza ombra di dubbio la fantascienza italiana.
Qualcuno ha mai preso in considerazione l'idea che forse, magari, abbiano ragione?
Come si fa a vendere un libro di fantascienza in Italia? Tutte i tentativi degli ultimi vent'anni han dato esito disastroso, dall'Einaudi Vertigo a Fanucci, dai Cosmo Oro della Nord all'ultimo apprezzabile tentativo di Armenia. Al momento l'unica collana di inediti che sopravvive in libreria è Odissea (un nome un programma!) che grazie alla prudenza e all'accortezza dei suoi curatori sembra ritagliarsi uno spazio sempre più visibile in libreria.
A voi lettori lì fuori va bene così?
A me no, ma a parte dibattere sui motivi per cui le cose sono arrivate a 'sto punto , avete un'idea su come risollevare le sorti del panorama fantascientifico nazionale? Io non ne ho, ma non mi rassegno. Per esempio, sono sicuro che la qualità alla lunga premia, che pubblicare solo per riempire gli scaffali non ha senso, che senza un continuo confronto tra lettori e scrittori ed editori non si va da nessuna parte.
Come sono altrettanto sicuro che senza un'apertura al grande mondo la fuori non ci sia alcuna speranza per il piccolo universo fantascientifico nostrano.

A voi la palla…

15 aprile 2010

Leggo, e rilancio.


Picture by Iguana Jo.
Probabilmente sto per perdere un'altra occasione per tacere, ma che ci volete fare, quando mi scappa mi scappa…

Ho letto con molto interesse lo speciale sullo stato della fantascienza italiana pubblicato sull'ultimo numero di Delos: come lettore è sempre un piacere leggere quel che pensano della situazione editoriale contingente le persone che i libri li scrivono.
Tolto l'usuale constatazione di come la fantascienza come genere nel suo complesso. e ancor di più nella sua incarnazione nostrana, faccia dannatamente fatica ad arrivare in libreria, la cosa che mi ha colpito dei vari interventi (sono dodici gli scrittori coinvolti) è stato vedere emergere una prospettiva in qualche modo contraddittoria sullo stato della fantascienza italiana: da una lato pare che questo tipo di narrativa non abbia mai avuto un accesso così diffuso alla pubblicazione come invece sta succedendo nell'ultimo paio d'anni, dall'altro si ribadisce come il pubblico dei lettori di fantascienza sia in costante riduzione.
Un altro aspetto dello speciale che mi ha colpito è la dose di melassa sparsa abbondantemente tra le righe dei vari interventi. Va bene la diplomazia, va bene la prudenza, ma quest'approccio alla situazione così morbido, da grande famiglia felice, mi ha provocato un certo fastidio, quasi che parlare di fantascienza, qui e ora, significhi soprattutto fare attenzione a non pestare il piede sbagliato. E qui non mi riferisco tanto agli interventi degli autori, quanto a quelli di contorno che cercando di tracciare un quadro generale sullo stato dell'arte fantascientifica nostrana.

Intendiamoci, io condivido pressoché in toto l'atteggiamento di chi auspica un maggior spirito cooperativo all'interno del genere, di chi chiede di abbattere i muri dei rispettivi orticelli e si appella all'onestà intellettuale di chiunque voglia intervenire per offrire il suo contributo allo sviluppo della scena. Però m'è parso di avvertire come nota di fondo un certo atteggiamento, che dal mio personalissimo punto di vista faccio davvero fatica ad accettare: "tutto va bene, tutto funziona, lasciateli lavorare che le cose andranno sempre meglio, e chi osa dire il contrario rema contro e va bandito".
Certo, io qui sopra esagero di proposito il tono degli interventi di Carmine Treanni, Salvatore Proietti e Giampaolo Rai. Però mi pare innegabile che ci sia un tentativo di assopire o comunque smussare i toni più accesi del dibattito (lasciatemelo chiamare così, anche se…) sullo stato della fantascienza italiana che da sempre appassiona grandi e piccini in giro per la rete.
Di nuovo, l'approccio di cui sopra è comprensibile. Spesso parlando di fantascienza italiana il rumore della polemica è diventato insostenibile e il discorso critico sui testi del tutto accessorio all'esaltazione parossistica dell'ego dei vari recensori, lettori, critici e semplici passanti che vagano come anime in pena per l'inferno della rete in cerca d'attenzione.
Non mi va di ripetere per l'ennesima volta la mia opinione, se vi interessa la potete trovare in calce a questo intervento di X. Qui mi interessa ribadire che a mio parere l'unica risposta al rumore non è tapparsi le orecchie quanto piuttosto fare buona musica, che l'unica risposta al pressapochismo è l'ìnformazione dettagliata, che le chiacchiere superficiali si possono sconfiggere solo con l'approfondimento. Se poi la maggior parte del pubblico preferisce divertirsi tra flame e scambi d'invettive, beh… è un problema che non sono comunque in grado di risolvere. Mi basta tirarmene fuori e sperare che la mia voce non si confonda col rumore di fondo.

Un approccio simile me lo aspetterei anche da chi di fantascienza si occupa seriamente.
Per questo motivo non capisco la necessità di raccontarsi la bella favoletta sullo stato della fantascienza italiana che traspare negli interventi pubblicati su Delos.
Se vogliamo parlare di fantascienza in italia non possiamo davvero fingere che vada davvero tutto così bene.
Per contribuire al dibattito, spero in maniera costruttiva, ecco quelli che secondo me sono un paio dei nodi che lo speciale delosiano evita di affrontare.

- La qualità della fantascienza in Italia.
A me pare che si festeggi il successo della pubblicazione in quanto tale, a prescindere da ogni considerazione, se non come nota a margine, sulla qualità di quanto pubblicato. Io non ho letto tutti i romanzi citati nello speciale, e sarò stato particolarmente sfortunato (o più probabilmente sono troppo esigente), ma la qualità media di quanto letto negli ultimi anni è ben lungi da un livello tale da attirare nuovi lettori al genere.

- Non si è mai pubblicata tanta fantascienza italiana come nell'ultimo periodo.
Siamo sicuri sia un bene? Avete per caso visto moltiplicarsi le pubblicazioni di genere in libreria? A me non sembra. Quindi, se la matematica non è un'opinione, la presenza di un maggior numero di pubblicazioni di autori italiani è andata a discapito della produzione straniera. Da lettore a lettore: siamo sicuri che preferiamo leggere Francesco Verso piuttosto che Iain Banks? o Vittorio Catani invece di Ian McDonald?
Lo so. È un discorso antipatico, e sarei la persona più felice del mondo se in libreria ci fosse spazio per entrambe le proposte. Al momento però mi pare che le cose vadano in questo modo. Dal punto di vista degli autori di genere italiani il momento offre grandi opportunità di vedere i propri sforzi premiati, ma dal mio punto di vista di lettore tocca considerare anche cosa mi sto perdendo.
E poi ci si potrebbe porre anche qualche domandina altrettanto antipatica sui motivi di queste scelte editoriali (nel recente passato la scelta analoga di un editore specializzato di privilegiare autori italiani rispetto ai tradizionali autori anglosassoni è stato il primo segnale della crisi che ha anticipato quella che s'è rivelata poi una situazione irreversibile).

- Ehi! Ma gli altri dove sono?
Non si dovrebbe parlare degli assenti, però ho notato con un certo dispiacere che tra tutti gli interventi di scrittori presentati nello speciale mancano proprio quelli che nell'ultimo periodo ho apprezzato di più. Dove sono Clelia Farris o il gruppo che fa capo ad Alia? Ragazzi, a me piacerebbe davvero conoscere la vostra opinione!
Altre voci che mi sarebbe piaciuto ascoltare sono quelle di un Tullio Avoledo o degli altri autori chiamati da minimum fax a scrivere fantascienza per il progetto Anteprima nazionale, che avrebbero potuto offrire un punto di vista esterno sulla stato della letteratura di genere. Ma ok, non si può avere tutto.
(Sia chiaro che questo NON è una critica a chi ha preparato questo numero monografico di Delos. Qualche anno fa ho curato anch'io un speciale analogo e so quanto è difficile avere risposte rapide da parecchie decine di persone, anche solo a quel paio di domande poste da Delos)

- Il sogno.
Dice bene Salvatore MLK Proietti. Il suo sogno è bellissimo, meraviglioso, decisamente allettante. Ma è un sogno. La realtà, che piaccia o meno, è molto diversa. Io non ho sogni di così squisita fattura e non credo che fare appelli generici serva a qualcosa. Mi limito a osservare che la pluralità di voci, a volte discordanti, spesso stonate, potrebbe ridursi, se non l'ha già fatto, da ricchezza quale dovrebbe essere a mero rumore di fondo.
Credo che solo l'esempio e la qualità delle proposte possa fare la differenza.
Insomma, se amate la fantascienza, datevi una mossa.
E fanculo a chi ci vuole male.


(potrebbe essere utile leggere parallelamente a questo post anche l'intervento di Elvezio Sciallis su Malpertuis. In quel post non si parla di Delos, e nemmeno di fantascienza, si parla di critica, di letteratura e cinema di genere, di internet e dell'aria che tira. Io trovo il suo approccio molto interessante, nonostante il peso della personalità del suo autore rischi a volte di soffocare il valore dei suoi argomenti.)

08 aprile 2010

Letture marzo 2010


Picture by Iguana Jo.
Jon Courtenay Grimwood - Effendi
Secondo volume della trilogia arabesca, Effendi conferma tutte le qualità di Jon Courtenay Grimwood. Se Pashazade era incentrato sulla misteriosa figura di Ashraf Bey (ne parlavo qui), in questo romanzo la vicenda esplora l'oscuro passato dell'uomo più ricco di El Iskandryia, nonché genitore dell'ex promessa sposa di Raf.
La cosa più notevole di Effendi è la capacità di Grimwood di immergere il lettore nel mezzo dell'azione per mezzo di capitoli apparentemente slegati tra loro (con punti di vista sempre diversi, collocazioni temporali non lineari, un sacco di roba che avviene dietro le quinte), creando un mosaico di episodi che, lungi dal disperdere la vicenda, la concentrano nei suoi punti nodali, conferendo al contempo un ritmo esaltante agli avvenimenti. La miscela di storia alternativa e riflessioni etico/politiche (i conflitti africani hanno un grosso peso nella vicenda) insieme all'approccio alle storie personali dei protagonisti crea un'atmosfera drammatica unica e nonostante qualche situazione appaia realisticamente eccessiva il romanzo non sfugge mai al controllo del suo autore.
Dopo Pashazade e nell'attesa di leggere l'ultimo capitolo della trilogia, questo Effendi s'è rivelato un altro ottimo romanzo. Consigliato a tutti coloro che leggono in lingua inglese.


Clelia Farris - Nessun uomo è mio fratello
Dopo aver parlato del romanzo di Clelia Farris in questo post è nata un'accesa discussione sulle qualità del romanzo. Io rimango dell'opinione che Nessun uomo è mio fratello sia qualcosa di mai visto prima nell'ambito della fantascienza italiana. Non mi rimane dunque che rinnovarvi l'invito a procurarvelo, che tra le proposte della letteratura di genere nostrana è difficile trovare un altro romanzo con una simile qualità di scrittura.


Viktor Pelevin - L' elmo del terrore
Che senso ha 'sto libercolo?
L'unica momento degna di nota di questo romanzo filosofico (?), che immagino sia stato scritto per motivi alimentari - che altrimenti c'è da porsi qualche domanda sull'ego dell'autore - è la descrizione dell'intero sistema di elaborazione cultural-psicologico umano nella struttura dell'elmo del terrore che da titolo al volume. Altro non c'ho trovato, se non la fastidiosa sicumera del continuo parlarsi addosso dei vari personaggi che frequentano le sue pagine.
Precipitare in questo vortice che mescola agilmente - o furbescamente, dipende dai punti di vista - internet e minotauri, oltre a mito e storia e metafisica, offre probabilmente qualche spunto di interesse dal punto di vista narrativo, ma io l'ho trovato oltremodo irritante, sia per la presunzione dell'autore, via via sempre più evidente, di voler racchiudere in queste poche pagine il cosiddetto senso della vita, sia per lo scorcio cinico e disincantato (ma così figo…) che offre dell'umanità. Quasi che volersene distinguere, costi quel che costi, sia la priorità non detta di Viktor Pelevin. Un pochino di umiltà in più non avrebbe guastato.


Leonard Susskind - La guerra dei buchi neri
Trovo in qualche modo confortante che ci siano persone sparse ai quattro angoli del pianeta che passano il loro tempo a ricercare, sperimentare, calcolare e speculare sulla struttura intima dell'universo, passando senza timori reverenziali dalle particelle elementari che costituiscono le basi invisibili della realtà (di tutta la realtà!) ai buchi neri, più o meno teorici, ma sempre decisamente affascinanti, alle più incredibili teorie cosmologiche.
Sono riuscito a seguire il professor Susskind fino a circa metà volume. La meccanica quantistica non mi terrorizza più come faceva un tempo e nemmeno il confronto tra la fisica classica e quella relativistica mi lascia più spaesato, per non parlare del fascino che strutture come gli orizzonti degli eventi hanno sempre esercitato sul sottoscritto. Quando però La guerra dei buchi neri passa a trattare di spazi multidimensionali, di teoria delle stringhe o del famigerato paradigma olografico, beh… il mio povero cervelletto ha tirato il freno a mano per proseguire poi col pilota automatico.
Leonard Susskind ha un bel parlare di riconfigurare le proprie strutture mentali, e si sforza il più possibile di rendere digeribili al suo pubblico concetti davvero formidabili. Io però non ce l'ho fatta. Mi sono limitato a fidarmi e a stupirmi della vastità e della complessità raggiunta dalla fisica odierna.
Poi mi sono guardato qualche puntata di Big Bang Theory e grazie a Sheldon mi son riconciliato con l'universo e tutto quanto di complicato qua fuori.


Cordwainer Smith - Norstrilia
Per parafrasare un commento letto su Anobii, non ho capito perché Norstrilia mi è piaciuto. La cosa non ha senso.
Il fatto è che nonostante la visione del mondo che accompagna il lettore nel suo viaggio in compagnia di Rod McBan da Norstrilia alla Terra e ritorno sia molto lontana dalla mia, le avventure del protagonista alla ricerca di un significato da dare alla propria esistenza non sono affatto male. Sarà lo stile particolare di Cordwainer Smith che tratta il futuro come fosse intessuto di leggenda, la sua vervé immaginifica (diamine, pecore malate gigantesche alla base dell'economia dell'intero universo! …e poi G'mell e tutte le altre simpatiche bestiole, sagge, enigmatiche, pratiche o in crisi mistica che indicano la strada al buon Rod, per non parlare di donne di servizio transgender e compagnia bella…), o forse è l'impressione di trovarsi di fronte a un romanzo nato agli inizi degli anni sessanta ma già con la testa nei decenni successivi. Fatto sta che Norstrilia mi è piaciuto, nonostante il sapore d'antiquariato e la sensibilità sottilmente reazionaria nel trattare col genere umano.