30 luglio 2010

I'm a loser baby, so why don't you kill me?


Picture by Iguana Jo.
Speravo di riuscire a rimandare il tutto a dopo le vacanze, ma visto l'interesse che si spande per la rete come olio nel golfo del Messico, chi sono io per privarvi della mia indispensabile opinione? Molliamo gli indugi, che qua si parla di perdenti, falliti e scarti sociali in genere.

Tutto nasce da un'uscita strana di Elvezio Sciallis (vedi post su Shaun of the Dead, qui e su Malpertuis) e dai successivi dubbi su cosa sia un perdente e se un perdente si possa considerare tale, a prescindere dalla sua consapevolezza della propria condizione di perdente. La questione è stata poi rilanciata da un post di Davide Mana che riporta il discorso su un piano decisamente terreno.

Diciamolo subito. La figura del perdente è essenzialmente una figura retorica, un artificio narrativo, un utilissimo escamotage drammatico, ma nella vita vera il perdente non esiste.
In fondo voi, quanti perdenti conoscete? Nessuno, immagino, che sono sempre gli altri quelli che perdono.

Facciamo un passo indietro. Quand'è stata la prima volta che avete sentito il termine perdente riferito non a un evento sportivo ma alla riuscita della propria esistenza? Da quand'è che la vita si considera una gara?
Elementare (si fa per dire…): da quando il modello capitalista è uscito dalle sfere dell'alta finanza e dal suo guscio nordamericano per diffondersi capillarmente in ogni aspetto della nostra esistenza. Da quando abbiamo iniziato ad annusare il benessere e la carota in fondo al bastone è diventata sempre più concreta e reale. Da quando i vincitori hanno capito che senza gli sconfitti la vittoria non conta.
Non che prima del modello americano la competizione non esistesse, solo non aveva assunto quella componente totalizzante che la contraddistingue ora.

Ma se il perdente non esiste, la nostra percezione di vittoria o sconfitta sociale è vera e reale. Modulabile e modulare. Per ognuno di noi che non si sente adeguato alla gara sociale (di qualunque gara si tratti) c'è sempre qualcuno che se la passa peggio: per quello che non si può permettere il SUV c'è quello che gira con la Dacia, per l'impiegato frustrato c'è l'operaio alla catena, per quello che va in ferie a Rimini c'è quello che rimane a casa, per noi che leggiamo i libri c'è quello al bar con la gazzetta. La figura del Perdente è lo strumento di controllo sociale per eccellenza, scarica le frustrazioni verso il basso, riduce le responsabilità personali, consolida il ruolo del vincitore.

Detto questo, torniamo alla realtà del cinema e della letteratura, dove invece la figura del perdente non hai mai perso lo smalto che l'ha sempre contraddistinta. Del resto è molto comodo caratterizzare il dato personaggio per la sfiga che lo segna, fare assurgere quest'ultima a summa della sua esistenza per poi - a seconda del caso - ribaltarne le sorti in un finale catartico o farla sprofondare in un inferno senza vie d'uscita (meritato, ci mancherebbe!).
E qui diventerebbe interessante riflettere sulla potenza del simbolo "perdente", sulla sua elasticità d'utilizzo e sulla sua diffusione.
Io non ho gli strumenti per approfondire questo discorso, ma mi piacerebbe che qualcuno più dotato di me lo proseguisse.

Per concludere questo post sgangherato e frettoloso, mi rimane giusto il tempo per un'ultima nota sul concetto di beautiful loser, tanto caro a certa letteratura, a certo cinema. (Già il fatto di dover scrivere beautiful loser in inglese è significativo, che in italiano si rischia il ridicolo.)
Per quanto io possa aver amato quel film o quel libro, il beautiful loser è un personaggio odioso. Come altro definireste una persona che si crogiola nei suoi limiti e grazie ai suoi difetti ribalta la propria condizione? Fanculo. Molto meglio un tipo come Shaun, che riposta la mazza da cricket è pronto per un altro giro sulla ps, con birra e patatine e qualche zombie di contorno.

4 commenti:

  1. Dal titolo mi aspettavo un post musicale!

    Comunque, riflessioni interessanti.

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  2. Ops, mi spiace aver ingannato l'audience, sekhemty!
    Cosa non si fa per attirare il lettore, eh?

    Già che ci sono, ti do il benvenuto da 'ste parti. Spero che l'impatto non sia stato troppo duro. :-)

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  3. In realtà bazzico da queste parti già da un pò, di solito inizio a commentare sui blog dopo essermeli un pò "spulciati" ed essermi un minimo acclimatato.
    Poi passo alla Fase 2, ovvero iniziare a leggere tutti i post, riesumando anche i vecchi, che mi sembrano interessanti.
    Una specie di necromanzia da blog!

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  4. Tremo ad immaginare la possibile Fase 3!

    BTW mi fa molto piacere avere un lettore così curioso, però al contempo sono un po' preoccupato, che mica mi ricordo cosa scrivevo 4 o 5 anni fa (faccio fatica a ricordarmi quel che scrivevo la settiaman scorsa! :-))

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