25 novembre 2010

Quindici personaggi immaginari


picture by Iguana Jo.
Riprendo da Strategie Evolutive e ripropongo anche da me il giochino. Queste le regole:
"Senza pensarci troppo. Quindici personaggi immaginari (televisione, film, commedie, romanzi) che vi hanno influenzati e che vi porterete per sempre dietro. Elencate i primi quindici che vi vengono in mente in non più di quindici minuti. Non è necessario alcun ordine particolare".
In realtà io li ho messi in ordine alfabetico, e c'ho messo un quarto d'ora più d quanto richiesto. Ma tant'è, ecco la mia lista:

- Actarus

- Bora Horza Gobuchul

- Capitan Harlock

- Capitano Nemo

- Case

- Ellen Ripley

- Gardner Barnes

- Hans Schnier

- Indiana Jones

- Jake & Elwood Blues

- Obi-Wan Kenobi

- Peter Parker

- Philip Marlowe

- Sandokan

- Ziggy Stardust

(Il predator qui sopra nella lista manca. Ma quando mi capita un'altra occasione di postare una foto simile?)

24 novembre 2010

Seconda visione - Signs

Non c'è due senza tre. Ecco dunque il terzo post di fila che trae l'ispirazione da una discussione su Malpertuis.
Come per tutte le recensioni sotto il titolo di "seconda visione" si tratta di note già comparse in giro per la rete qualche anno fa e riproposte ora sul blog.

Nel prossimo post si parlerà d'altro. Lo prometto.


Picture by Greg76.
Signs a me è piaciuto parecchio. Il film di Night Shyamalan è una di quelle pellicole che continui a rimuginare anche dopo essere uscito dal cinema. Confrontandolo con gli altri film del regista m'è parso però meno equilibrato, la parte seria e quella fantastica non erano così ben amalgamate come nelle due opere precedenti. D'altra parte Signs è molto più divertente.

Per "parte seria" del film intendo ciò che accomuna Signs ad Unbreakable e al Sesto Senso. Il nucleo drammatico delle tre pellicole è infatti molto simile: adulti perduti che grazie alla relazione che instaurano con l'infanzia ritrovano la bussola.

L'aspetto più controverso del film è la particolare bussola ritrovata dal personaggio interpretato da Mel Gibson.
Nonostante sia l'opinione più diffusa, io non vedo Signs come un film centrato sulla fede. Certo, l'aspetto fideistico è un importante, ma in definitiva è solo un mezzo, uno strumento, attraverso il quale il protagonista riesce a ridare un senso alla propria vita (un po' come il lavoro per il Bruce Willis de Sesto Senso o la missione da supereroe in Unbreakable).
Come nelle due opere precedenti anche questo film è centrato sulla risoluzione di una crisi personale e su come questa incida sulle relazioni familiari/personali. Poi è chiaro che c'è anche dell'altro (e che altro...), ma quello rimane il nocciolo della pellicola.
Per lo stesso motivo non credo che Shyamalan voglia convertire nessuno, che lui abbia o meno certe convinzioni non cerca mai di convincere lo spettatore della superiorità di una visione credente o scettica dell'esistenza. Pone il dubbio, che per me è questione fondamentale.

Lo stesso discorso si può fare sui segni: in un primo tempo questa cosa dei messaggi inviati da qualche entità superiore mi ha lasciato mooolto perplesso, ma poi ci si rende conto che di segni il film è pieno, e di significato quanto meno dubbio (vedi p.es. l'illustrazione con la casa in fiamme e i tre corpi sul prato). Che il protagonista ci trovi quello che gli serve, e scelga quindi i segni che gli convengono di più, e accetti il tutto come proveniente da un'entità superiore non è un suggerimento spirituale rivolto agli spettatori, ma l'unica soluzione accettabile per quel particolare personaggio (che in effetti appare piuttosto ridicolo nel suo agire).

Per quanto riguarda gli alieni, beh... la mia opinione è che si sia trattato di un grosso scherzo/omaggio fatto dal regista agli amanti dei B movie anni '50: tutta la dinamica dell'invasione, le reazioni dei protagonisti, l'impostazione delle scene, la figura della televisione, le interazioni tra le persone e i mostri sono prese pari pari da quell'immaginario. 
E visto oggi è estremamente divertente.
Il punto semmai è perché il regista abbia deciso questo approccio, ma qui forse qualcuno ha delle ipotesi migliori delle mie.

A parte il giochino dell'omaggio, io credo che la presenza degli alieni abbia lo scopo di alleggerire una situazione per certi versi insostenibile e di dare una risposta irragionevole e assolutamente iperbolica alla necessità del protagonista di dare un senso alla tragedia che sta vivendo. 
Detto in altre parole rappresentano la soluzione più improbabile (e quindi tendente a un rispettosissimo ridicolo) ai suoi problemi esistenziali.
(2003)

22 novembre 2010

Seconda visione - Farenheit 451

In queste settimane il blog sta andando a rimorchio, che per qualche contenuto più consistente dovete portare un po' di pazienza.
In questo caso lo spunto è di nuovo Malpertuis, che propone al suo pubblico di dibattere sulle qualità e i difetti di Ray Bradbury.

Qualche anno fa avevo caricato in rete qualche nota sulla versione cinematografica di Farenheit 451 girata nel 1966 da François Truffaut.
Ve le ripropongo qui di seguito.


Originally uploaded by Uncinefilo.
Grazie al dvd ora in edicola ho finalmente visto Farenheit 451. Non che non ci dormissi la notte, ma ero davvero curioso di vedere la trasposizione cinematografica di un romanzo fondamentale come quello di Bradbury. Ero soprattutto curioso di vedere come si sarebbero sposate la sf americana e la sensibilità di François Truffaut.

Il risultato non è davvero eccezionale. Probabilmente troppi sono stati i compromessi cui ci si è dovuti adattare per poter girare il film e il risultato finale purtroppo ne risente. Farenheit 451 è il primo film a colori di Truffaut, il primo girato in lingua inglese (lingua che il regista non parlava), il primo film americano (anche se girato in inghilterra), e tutte queste novità si vedono.

Lo sviluppo della vicenda è troppo didascalico, non si crea la minima tensione narrativa, l'attenzione del regista si focalizza unicamente sul tema dei libri. Questa scelta offre da un lato le uniche scene davvero emozionanti del film (il rogo dei libri è davvero doloroso), dall'altro rende troppo trasparente l'intento morale della pellicola, banalizzando così anche il romanzo. Il clima che si respira risulta immediatamente datato, non si avverte appieno l'atmosfera allucinante della società descritta da Bradbury. In questo contesto l'assenza di ogni richiamo alla guerra, la riduzione dell'incubo domestico/televisivo, la mancanza della pubblicità invasiva rendono l'ambiente troppo fasullo e la costruzione retro/futuristica quasi fine a se stessa (per quanto interessante). E poi mancava pure il segugio...

Di buono ci sono sicuramente le idee di Bradbury, e alcune idee cinematografiche: i titoli di testa (!), Julie Christie nel doppio ruolo, i dettagli retro (i telefoni, il rasoio), le fiamme, la trovata nel parco giochi, la neve... 
Un po' poco per lasciarmi del tutto soddisfatto.

Il dvd è arricchito da una serie notevole di documenti: c'è Bradbury che parla della sua carriera, un making-of che fortunatamente non è la solita celebrazione del film, un documentario sulla musica (tutti rigorosamente in inglese senza sottotitoli), il commento alla pellicola di Julie Christie.
(2004)

18 novembre 2010

Noi siamo le storie che ci raccontiamo


Picture by Iguana Jo.
Segnalo questa discussione in coda a un post di Malpertuis. Si parte dalla critica al maschilismo tuttora imperante in molto nel cosiddetto cinema indipendente americano, per poi cercare di stabilire se, e come, il cinema influenzi il clima culturale circostante e se sia compito del critico riconoscere i potenziali rischi ideologici che la data opera porta con se - consapevolmente o meno. Niente di nuovo, ma è sorprendente come certe cose che do quasi per scontate, per altre persone non lo siano per nulla.

15 novembre 2010

Modena Rugby Veterans (Trofeo Eligio Amedei)

Qualche foto di rugby, per cominciare bene la settimana.














Sabato la squadra dei Modena Rugby Veterans ha giocato con gli Old del Bologna Rugby per la seconda edizione del Trofeo Eligio Amedei.
Io stavolta mi sono limitato alle foto, che sono reduce da una visita dal dentista che mi ha lasciato con sei punti in bocca e quindi di giocare non se ne parlava nemmeno. Ma va bene lo stesso, che dopo aver sconfitto il Bologna abbiamo mangiato zampone, lambrusco e purè!

Le altre foto le trovate qui.

08 novembre 2010

Letture settembre/ottobre 2010 - prima parte


Picture by Iguana Jo.
Alice Munro - Nemico, amico, amante…
Se ho scoperto Alice Munro è grazie alle recensioni dei miei vicini lette su Anobii. E un bel grazie questi vicini se lo meritano tutto, che Alice Munro è davvero una scrittrice sopraffina.

Scrivere di una autrice come Alice Munro mi mette un filo di soggezione, perché di lei hanno già parlato in tanti, conoscendola meglio e di più di quanto possa dire di conoscerla io, dopo averne letto solo i racconti di questo volume.
Ho deciso quindi di buttar giù queste note commentando Nemico, amico, amante… da un punto di vista che mi è più vicino. Quello del lettore di fantascienza.
Intendiamoci, i racconti raccolti in questo volume non hanno nulla di fantascientifico, nemmeno a cercarlo tra le righe. Se c'è qualche motivo di interesse anche per il lettore di genere lo si trova tutto nella capacità incredibile della Munro di raccontare storie piccole, locali, quotidiane, che nella loro perfezione assumono valore universale. Un ulteriore motivo di interesse per il lettore fantascientifico potrebbe essere l'importanza che ha il tempo nella costruzione della narrativa dell'autrice canadese. La percezione soggettiva del trascorrere del tempo, la memoria, la ricostruzione del passato e il cambiamento dei rapporti tra persone chiuse in personali e diverse angolazioni temporali sono caratteristiche comuni a tutti i racconti di Nemico, amico, amante…. E sebbene il fulcro delle varie storie appaia sempre essere un rapporto a due (a volte immaginato, a volte potenziale, a volte effettivo, a volte concluso o senza speranza) questa relazione è solo una base su cui costruire vicende e intessere riflessioni che vanno ben oltre i limiti del racconto sentimentale.
Insomma, Alice Munro mi ha conquistato, e ormai sento le campagne canadesi come parte del mio panorama personale.


Gwyneth Jones - Pazienza divina
La fama di Gwyneth Jones tra il lettori di fantascienza anglosassone è trapelata fino a queste pagine grazie alle parole di Marco, che mi hanno spinto a leggere quello che credo sia al momento l'unico romanzo a suo nome tradotto in italiano.
Pazienza divina è la storia di un gatto e di una bambina post-umani (e/o post-felini) che, eredi di potentissimi segreti, si mettono in viaggio dalla loro fortezza nel desolato deserto postatomico per raggiungere gli ultimi bastioni della civiltà alla ricerca del fratello scomparso della fanciulla, Qui si ritrovano coinvolti nella lotta tra misteriosi movimenti rivoluzionari e una struttura di potere in evidente stato di decadimento.
La lettura di Pazienza divina mi ha lasciato sapori contrastanti. Se da un lato la descrizione dei personaggi, delle loro emozioni e delle loro interazioni sono davvero notevoli (tanto da ricordarmi in qualche modo Samuel Delany), dall'altra la maggior parte delle loro motivazioni e del loro rapporto con il mondo circostante rimane parecchio oscura. Se l'ambiente in cui si muove la vicenda è ricco di dettagli, vivo e percepibile e con un'ottima gestione delle atmosfere tra l'esotico e l'alieno (la storia si svolge in quello che pare essere il sud-est asiatico di un remoto futuro - da confrontare con quello di Nessun uomo è mio fratello, che m'è parso in qualche modo vicino - o debitore - a questo della Jones), la situazione politico/sociale che muove la vicenda rimane sempre criptica e poco comprensibile, e i motivi di frizione tra le varie comunità sparse sul territorio decisamente poco chiari e mai esplicitati.
Questa forte divergenza tra attenzione al dettaglio e mancanza di quadro d'insieme si deve probabilmente alla scrittura estremamente elusiva ed ellittica della Jones, che non fai mai esplicito riferimento a fatti o luoghi o situazioni che hanno determinato il presente in cui si muovono i suoi personaggi. La qual cosa non è di per sé negativa: questo modo di raccontare evita il rischio di cadere nell'infodump e proietta il lettore al centro dell'azione, d'altra parte rischia di rendere al contempo incomprensibili motivazioni sociali e cause oggettive della crisi che sembra attanagliare le parti coinvolte nel conflitto.
Per completare il quadro bisogna anche dire che non so quanto delle difficoltà avute nel corso della lettura del romanzo siano da imputare a Gwyneth Jones e quante invece dipendano dalla traduzione italiana, che m'è parsa anch'essa poco lucida e scorrevole.
Come si scriveva nei commenti collegati più sopra, per farmi un'idea più completa sull'autrice inglese dovrei forse provare a leggere Bold as Love, e non è detto che in futuro non accada.


Chiara Reali - Lunga vita e prosperità
Lunga vita e prosperità non lo trovate (ancora) in libreria. Per leggere questo romanzo breve di Chiara Reali dovete passare di qua e accettare lo scambio che l'autrice vi propone.
Detto questo, io vi consiglio vivamente di procurarvelo. Lunga vita e prosperità non è un romanzo perfetto, e credo che l'autrice ne sia ben conscia, ma già in questa stesura è più interessante, potente, emozionante dell'80/90% dei testi italiani letti negli ultimi anni (e ci aggiungo pure perturbante così Elvezio se lo legge).
Come scrivevo altrove: Lunga vita e prosperità è uno di quei libri di cui vorresti conoscere l'autrice, un po' per coccolarla, un po' per dirle che no, guarda, qua fuori è più semplice che lì dentro, che vanno bene tutte le domande, ma che se qualche volta non conosci la risposta non è poi così grave! Chiara, che tu ci creda o meno, siamo messi in tanti così, qua fuori.

La scrittura di Chiara Reali è formidabile: piena di dolcezza, ma avvolta in strati su strati di crudeltà, di dolore, di vita (troppo dentro, troppo troppo dentro). Con un orecchio (e un occhio e un tatto) sensibilissimo ai limiti del corpo e alle sue esigenze. Con il fuori che diventa sempre dentro, e un dentro che fa davvero fatica a uscire fuori. Con il ricordo che non è nostalgia ma storia e memoria e tempo.
Ci sono dei difetti?
Forse a volte Chiara Reali si innamora troppo di una certa immagine, di un certo momento, e allora la scrittura sembra deragli e parta senza il solito controllo, avvolgendosi un po' su se stessa, perdendo il filo della narrazione.
Ma in ogni caso questo racconto che corre avanti e indietro nel tempo, racchiuso tra le date simbolo dei due disastri dello space shuttle (quello del Challenger, nel 1986 e del Columbia, nel 2003), è qualcosa che colpisce e rimane, come solo i testi migliori sanno fare.


Aimee Bender - Grida il mio nome
Di Aimee Bender avevo letto qualche anno fa una raccolta uscita per minimum fax che si intitolava Creature ostinate, che è stata probabilmente la lettura più sorprendente di quel periodo. Solo più tardi ho scoperto che esisteva già tradotto in italiano un altro volume dei suoi racconti, questo Grida il mio nome uscito a suo tempo per Einaudi.
Ora che sono finalmente riuscito a leggerlo posso dire che anche questa manciata di racconti non fa che confermare la qualità della narrativa di questa autrice americana.
I racconti di Aimee Bender sono straordinari nel senso più letterale della parola: capita di incontrarci persone trasformate nel corpo o nella mente, mutanti nell'anima o semplici freaks del vivere quotidiano, ma del tutto normali - sin ovvi - nei sentimenti, o nei loro tentativi di affrontare l'esistenza. Ed è straordinario il talento di Aimee Bender nel mantenere la propria scrittura rigorosa, controllata e comunque emozionante, anche di fronte agli eventi più terribilmente fantastici che accadono - di continuo! - nelle sue storie.
Una piccola meraviglia.