17 maggio 2012

Letture: La città e la città, di China Miéville

Foto di Giorgio Raffaelli
Cosa vediamo del mondo che ci circonda? Quanti segnali ignoriamo muovendoci per le strade delle nostre città? Quand'è successo che abbiamo smesso di guardare il panorama urbano che racchiude l'esistenza della maggior parte di noi? Perché certi dettagli non escono mai dalla periferia della nostra visione per assumere coerenza e sostanza?

China Miéville da corpo narrativo a queste domande e con La città e la città tenta una difficile indagine speculativa sulla complessità della vita urbana: grazie agli strumenti della narrativa di genere porta all'eccesso le particolarità ambientali in cui colloca la sua storia per evidenziare come i comportamenti individuali siano vincolati alle convenzioni sociali e alla deriva storica che le sottende, riflettendo al contempo su controllo, sorveglianza e punizione, sulla gestione del potere, su rivoluzione ed educazione.

La città e la città ha tutte le apparenze del romanzo giallo più tradizionale: una fanciulla sconosciuta viene trovata morta in un quartiere periferico della città di Besźel e Tadyur Borlù, poliziotto chiamato a indagare, si trova presto incastrato in una trama più grande di lui. Il protagonista del romanzo non si perde d'animo e grazie a sagacia, fortuna e buone conoscenze riesce a dipanare la complicata matassa, lasciando per strada più di una convinzione e ritrovandosi all'ultima pagina più solo che mai, ma con qualche certezza in più.

Ma se la scatola letteraria è un cliché, ben più originale e affascinante è il cuore del romanzo, che batte il ritmo asincrono delle due città in cui si svolge l'azione: Besźel e Ul Qoma.
Situate in una non meglio precisata regione del sud-est europeo, Besźel e Ul Qoma sono divise in tutto (dalla gastronomia alla forma di governo, dalla lingua all'architettura), ma condividono lo stesso territorio, sovrapponendosi e condividendo la morfologia urbana in cui si sono evolute. I cittadini delle due città vivono fianco a fianco, ma secoli di storia separata li hanno portati a diventare maestri dell'arte di disvedere, rendendo di fatto l'altra città, i suoi abitanti, la sua cultura e le sue costruzioni, invisibili a chi dovesse per caso posare lo sguardo sul suolo straniero. A dare coerenza all'invenzione e rendere di fatto tassativo l'obbligo a disvedere c'è una terza entità a sorvegliare il comportamento di tutti i residenti: la Violazione, un ente apparentemente inconoscibile, dotato di misteriosi poteri di intervento e punizione.

China Miéville gioca con l'incongruenza topologica di questa doppia città affrontandone i vari aspetti, dai più quotidiani (come sopravvivere al traffico urbano), ai più esoterici (i bambini considerati come veicoli d'infezione culturale), riuscendo nell'arduo compito di rendere credibile agli occhi del lettore la realtà impossibile del romanzo. Ma Mieville non si ferma alla descrizione degli aspetti pratici della vita in città e riflette sulle implicazioni politiche e sociali di una (anzi, due) comunità che si trovano a dover convivere con le solite divisioni (di ceto, di religione, di etnia) all'interno di una frattura che riflette, amplificando, tutte le tensioni che una situazione di convivenza coatta porta con sé. Esemplari in questo senso sono le pagine che l'autore dedica alle organizzazioni rivoluzionarie di vario colore e ai loro tentativi di unificazione egualitaria o di dominio politico dell'entità Besźel-Ul Qoma. In effetti i personaggi che bazzicano questi ambienti oscuri e settari, dominati dalla paranoia eppur vivi e vitali nel perseguire un loro scopo, sono forse quelli meglio tratteggiati dall'autore, che con quel misto di indulgenza e pessimismo, affetto e rassegnazione, riesce a rendere  bene l'idea di una vita ai margini di un regime allergico al cambiamento.

Se arrivati a fine lettura questi personaggi secondari rimangono più impressi nella memoria del lettore degli stessi protagonisti del romanzo, è però evidente che qualcosa ne La città e la città non funziona del tutto.

A mio avviso il difetto principale del testo di China Miéville è lo stesso riscontrato nel mio precedente incontro con l'autore inglese: la mancanza di personalità dei suoi protagonisti.
Tadyur Borlù non ha nulla che lo faccia risaltare, che permetta di metterne a fuoco una qualche caratteristica peculiare, o che almeno lo distingua quanto Besźel-Ul Qoma è distinguibile dalle centinaia di panorami urbani già incrociati in precedenza. A volte si fa fin fatica a riconoscere nelle movenze e nei gusti di Borlù qualcosa che ne identifichi nazionalità e cultura, tanto i suoi tratti  paiono sovrapponibili a quelli di un qualsiasi trentenne occidentale. Ed è con rammarico che tocca osservare quanto poco l'ispettore Borlù assomigli alle città che tanto si impegna a capire/conoscere/salvare.
D'altra parte, volendo parlare delle caratteristiche salienti un testo come La città e la città, è lecito chiedersi quanto peso si debba dare a personaggi e caratterizzazioni, quando è evidente che il nucleo forte del romanzo non è singolare ma collettivo; che l'interesse del lettore (di questo lettore perlomeno) è attirato più dal racconto degli spazi comuni, con le loro intersezioni, divisioni e sovrapposizioni, che dall'esplorazione dello spazio individuale del protagonista; che il mistero e la meraviglia del vivere in Beszel - Ul Qoma è certo più intrigante di qualunque combinazione affettiva possa legare i personaggi che si incontrano nel corso della lettura.

Dopotutto è facile capire come La città e la città avesse tutte le caratteristiche per catturare il mio interesse. Essendo cresciuto in una città doppia (per quanto lo sdoppiamento non sia esasperato e così ovviamente romanzesco come in Beszel - Ul Qoma) rivedere narrati, e quindi riscoprire, molti dei meccanismi di riconoscimento/negazione mostrati da Miéville è stata un'esperienza molto interessante.
L'arte di vedere e disvedere non è un'invenzione narrativa di China Miéville. È una cosa che impariamo a fare tutti. Crescendo in un ambiente complesso privilegiamo i segnali utili, ignoriamo ciò che ci può potenzialmente disturbare, scegliamo cosa vedere. E quando tutti i segnali sono doppi, come nella mia esperienza bolzanina, è facile arrivare a ignorare molto del panorama urbano che ci circonda. E di solito è una cosa che notiamo solo quando ce ne andiamo.

Ultima nota sull'edizione italiana del volume. La scelta di Fanucci di mettere in vendita il volume a un prezzo popolare è degna di merito e va doverosamente segnalata. Anche la copertina scelta è degna di menzione. Sul fronte traduzione, che è un caratteristico punto debole nella mia esperienza con l'editore romano, le cose non vanno troppo male. Sono i dialoghi a risentire soprattutto della trasposizione in un'altra lingua, che se nell'originale inglese la resa spezzata e sincopata del testo si può dire funzionale alla narrazione, la versione italiana risulta spesso legnosa e artificiale.
Detto questo va comunque precisato che dopo aver iniziato il volume in lingua originale (grazie a Paolo per il prestito) ho preferito proseguire la lettura in italiano. L'inglese di Miéville non m'è parso particolarmente complesso, ma la lettura non mi risultava piacevole come affrontando Charlie Stross (per quello che scrive) o Ian McDonald (per come lo scrive), mentre la traduzione di Maurizio Nati fa il suo sporco mestiere senza che il lettore abbia troppo a risentirne.

31 commenti:

  1. Finalmente ci riuscisti!
    Me lo leggo con calma in the afternoon e poi dirotti.:)

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    1. Eh! È stata dura, ma ce l'abbiamo fatta! :-)

      Ogni commento, come sempre, è benvenuto.

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  2. Qui c'è lo zampino del diavolo:-)

    grazie per l'aiuto:-)

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    1. Macché diavolo e diavolo!
      Telepatia! Sincronicità! Serendipità!
      …eccetera eccetera eccetera! :-)

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  3. E' da tempo che sono indeciso sull'acquisto o meno, ho sempre sentito parlare male degli ultimi lavori di Mieville e, essendomi innamorato follemente della trilogia del Bas-Lag, per quanto ci fosse il prezzo invitante non l'ho mai preso. Ma da quelli che scrivi adesso è spuntata un po' di curiosità... :)

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    1. Se non altro questo è moooolto più breve! :-)

      BTW, posso chiederti dove hai sentito parlar male dell'autore? Non lo chiedo per fare polemica - a parte La città e la città non ho letto altri Mieville recenti - ma per capire quali sono i difetti che gli vengono imputati.

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    2. Tempo fa Elvezio ne aveva scritto su FB, e vari altri si erano accodati criticando - mi sembra - un suo romanzo YA e in generale opere più recenti, dicendo appunto che era peggiorato rispetto agli esordi. Non molto altro, a essere sincero... :)

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    3. 'azz! FB è la morte della discussione! Come cazzo si fa a recuperare qualcosa di sensato da quella bolgia infernale?

      Peccato che Elv si sia autorecluso lì dentro, che mi sarebbe piaciuto conoscere la sua opinione…

      (BTW mettersi a criticare un romanzo YA, chiunque l'abbia scritto, è un po' come sparare sulla croce rossa, specie su fb, specie unendosi al coro critico in coda a una discussione nata da quelle parti…*).

      * questo non significa che non sia criticabile, solo che è parecchio difficile scrivere una critica interessante su un romanzo YA, e le probabilità sono dunque a sfavore…

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  4. Sul tema dei personaggi deboli, nel suo testo sacro "Characters & Viewpoint" Orson Scott Card spiega che esistono 4 tipi fondamentali di storia, a seconda dell'elemento che predomini:
    Milieu, Idea, Character, Event. L'aspetto illuminante (pur se può apparire banale) è che la caratterizzazione non deve essere uguale in ciascuno dei 4 tipi. Purtuttavia precisa che:

    [...]Character stories have been so dominant that they have
    forced storytellers in the other traditions to pay more attention to characterization. Even though a story may follow the idea, milieu, or event structure, many readers expect a deeper level of characterization. The story is not about a transformation of character, but the readers still expect to get to know the characters; [...] But it's a mistake to think that deep, detailed characterization is an absolute virtue in storytelling.

    Anch'io adoro la caratterizzazione forte, tuttavia questo testo mi ha fatto riflettere molto e ha aperto un angolino "ottuso" che ritenevo di avere nel mio approccio critico a un testo. Insomma, se adoro i dolci alla panna montata, non posso "criticare" il delizioso tiramisù che ho appena finito per il fatto che non vi fosse traccia di panna. Semplicemente lì la panna... non ci va. :-)

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    1. Il discorso è interessante, però il paragone dolciario mi pare poco centrato. Dopotutto se è vero che nel tiramisù la panna non ci vuole è altrettanto vero che tutte le storie che leggiamo parlano (sempre!) di persone. Avere personaggi che emergono dalla pagine, che da figure di carta diventano persone, dovrebbe dunque aiutare qualsiasi tipo di narrazione.

      Poi certo, la narrativa di idee (La città e la città ne è un ottimo esempio) può funzionare comunque, almeno se le idee sono abbastanza forti, ma rimango convinto che avere buoni personaggi non sia mai un difetto, nemmeno per quelle storie che l'introspezione la schifano proprio (e giustamente, aggiungo).

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    2. Non credo che la pensiamo diversamente, ma potrei essermi espresso male avendo voluto condensare un discorso ampio in poche righe. Non vorrei poi che l'ardita metafora dolciaria, presa alla lettera, avesse creato più confusione che altro. ;-)

      Anche solo dal breve estratto che ho riportato emerge che tra "deep,detailed characterization" e "figure di carta" ci sono N possibili gradi intermedi. Avere dei buoni personaggi è sempre un pregio, ci mancherebbe, solo che quel "buoni" non è un valore assoluto ma varia a seconda delle finalità dell'opera.

      Se si accetta la distinzione di O.S.C. sui 4 tipi di storia (e sottolineo SE), è chiaro che una storia il cui fine ultimo sia raccontare la vicenda del protagonista non può avere la stessa caratterizzazione di una storia che ha come "mission" quella di dipingere un mondo alternativo. Entrambe l'avranno, ovvio, visto che come tu stesso sottolinei si tratta sempre di storie di persone, ma in gradi diversi.

      Non avendo letto il libro ma basandomi su sinossi e tua recensione di questo romanzo, posso pensare che Miéville volesse creare una storia di Ambientazione e di Idee, più che una di Personaggi (per dirla ancora con O.S.C.). Forse per questo non carica di sfumature il poliziotto e non ne fa il perno della narrazione, quanto piuttosto un espediente per mostrare il "mondo" che ha creato.

      Se tu, come me, hai un gusto più orientato verso storie di Personaggi, facile che in un libro come questo per te sia una pecca avere un protagonista appena abbozzato. Oh, poi si può anche discutere se Miéville sia una sega nella caratterizzazione dei personaggi oppure se la sua sia una scelta consapevole. Su questo rimando però a voi che lo avete letto.

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    3. "Se si accetta la distinzione di O.S.C. sui 4 tipi di storia…"

      Io credo che una distinzione come quella di Card sia comoda per distinguere e classificare una storia dal punto di vista dei contenuti, ma credo abbia poco senso dal punto di vista del gradimento e delle aspettative che il lettore si aspetta di soddisfare.
      E poi io diffido di quegli autori che danno la colpa al lettore quando non vengono compresi ("The story is not about a transformation of character, but the readers still expect to get to know the characters; [...] But it's a mistake to think that deep, detailed characterization is an absolute virtue in storytelling."). ;-)

      Ritornando a La città e la città, non ho dubbi che per Mieville l'aspetto caratterizzante il romanzo fosse l'entità Beszel-Ul Qoma, e le dinamiche che una situazione particolare come quella innesca nella società (a tutti i livelli). E certo, la trama gialla è un buon modo per appassionare il lettore alla vicenda.
      Resto però convinto che un protagonista dalla personalità più spiccata non avrebbe necessariamente distratto il lettore dal contesto, ma avrebbe potuto rivelare piuttosto ulteriori aspetti delle realtà urbane in cui era inserito (vedi per esempio la visita al locale ebreo-musulmano, falso ul-qomano).

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  5. Ciao,
    da oggi mi affascina sto meville, dato che prima non sapevo nenache chi fosse... ;)
    In ogni caso ho recuperato perdido che di te mi fido. Col tempo che mi ritrovo devo selezionare con cura le letture!

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    1. Accuso il peso della responsabilità, e mi paro il culo: le hai lette vero, quelle due note che ho scritto su Perdido Street Station?
      Che per essere una lettura interessante lo è di sicuro, ma poi non andare in giro a dire che ti ho consigliato un capolavoro!

      Però, oh… sono comunque lusingato, sia chiaro! :-)

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  6. Non so dire quanto sia bravo Mielville perchè, lo ammetto non ho mai letto niente di lui, però da come ne parli mi sembra che lo scrittore in questione sia uno di quelli con buone capacità ma discontinuo, in grado, però di creare comunque una buona fantascienza di tipo sociologico.
    O sbaglio ?

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    1. Non sono la persona più indicata per giudicare il complesso dell'opera di Mieville. Al momento ho letto due romanzi e un'antologia di racconti (e credo che due o tre di quei racconti siano tra le cose migliori abbia scritto).

      Se dovessi riassumere in due parole la sua narrativa direi "fantastico" e "città", che in effetti la sua scrittura sembra quasi ossessionata dalla presenza delle strutture urbane che col loro semplice esserci influenzano nei modi più diversi la vita dei relativi abitanti.

      "fantascienza sociologica" mi pare una definizione un poco riduttiva della sua produzione. Direi che se la densità delle idee, del loro approfondimento e della loro messa in discussione fa pensare senza dubbio a un substrato fantascientifico, il fantastico, virato nei modi più diversi, è decisamente più evidente quale motore, sia scenografico che drammaturgico, in tutte le sue storie.

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  7. Romanzo molto "fascinoso", passami il termine. Nulla sembra emergere con forza (l'esempio che fai dei personaggi), ma alla fine ti ci ritrovi dentro senza capire come. Sarà anche peggiorato nelle ultime cose, ma è certo che farei di tutto per poter scrivere così.

    Alberto

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    1. Secondo me una delle migliori qualità della scrittura di Mieville è la sua capacità di trasferire il lettore in un mondo altro senza che quest'ultimo avverta alcuna frizione nel cambiamento di paradigma cui lo scrittore lo obbliga.
      E vista l'entità e la natura estema di quei cambiamenti direi che è una qualità non da poco.

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  8. Che strana sensazione mi ha fatto questo romanzo.
    Come se non si trattasse neanche di un romanzo. L'idea delle due Città parzialmente congruenti mi è piaciuta tantissimo: al di là del fatto che è affascinante in sé, mi è sembrata anche molto ben gestita. Miéville non cerca di farti ingoiare a forza l'alienità di quella realtà come in Perdido, anzi, fa di tutto per restituirci la sua dimensione più quotidiana e domestica. Fin qui tutto ok. Non è stata neanche la 'trasparenza' del protagonista a infastidirmi: dopotutto, Borlù effettivamente E' un normale trentenne occidentale, con un'educazione più europeista di molti suoi connazionali. Ha viaggiato ed ha avuto quindi modo di oggettivizzare, almeno in parte, la sua cultura del 'disvedere'. Perciò la sua caratterizzazione non mi pare un difetto narrativo.
    A questo giro, quello che mi ha infastidito è stata la scrittura, forzatamente noir. E' come se i personaggi di Miéville giocassero tutti al 'facciamo finta che...', come i bambini. Tutti si comportano in maniera così incredibilmente noir. Parlano come se fossero tirati fuori di fresco dal Mistero del Falco o qualcosa del genere. Il che ci sta, in una certa misura - Besz è una città noir; però, specialmente nelle prime pagine, il tutto mi è sembrato davvero un po' forzato. Anche a livello di scrittura, tanto che di quando in quando ho fatto fatica a seguire il discorso, sono dovuta tornare indietro, fare uno sforzo di concentrazione. Non sono certa che sia un bene.
    In definitiva, mi è piaciuto più di Perdido Street Station (che nell'insieme mi è sembrato più banale e mal costruito) e meno di La Città Delle Navi, che secondo me - anche se meno originale - è più solido e corposo, e ripara bene a molti dei difetti del primo capitolo del ciclo di Bas Lag.
    Comunque sono contenta che il tuo blog mi abbia spinto a leggere questo romanzo. Insomma, non credo che riuscirò a dimenticarle troppo presto, Ul Qoma e Besz...

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  9. Posso chiederti se l'hai letto in lingua originale o nella traduzione italiana?
    Te lo chiedo perché temo che molte delle forzature che hai percepito nella gestione dei personaggi potrebbero aver origine dal testo italiano più che dalla scrittura di Mieville.

    Idem per il discorso noir.
    Per me questo romanzo di Mievillle di noir non ha praticamente nulla. Richiama semmai il poliziesco più classico.
    L'unica esagerazione noir era lo strillo in copertina che richiamava lo spettro di Chandler (per non parlare di Kafka e Orwell, pace all'anima loro) quali numi tutelati dell'opera.
    Ma forse c'è un fraintendimento di fondo: cosa intendi tu per noir?

    Per quanto riguarda invece il protagonista, a me pare significativo che entrambi, pensando al romanzo e a quel che più ci è rimasto impresso a fine lettura, ci ricordiamo Beszel e Ul Qoma, mentre il povero Borlu è già bel che dimenticato…

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    1. Il romanzo l'ho letto in traduzione. Penso che un giorno o l'altro mi farò coraggio e mi deciderò a leggere qualcosa di Miéville in originale, ma il suo inglese mi fa sinceramente paura!

      Probabilmente il mio concetto di 'noir' è impreciso: mi riferisco a certi film polizieschi degli anni '40 e '50, o a narrativa più moderna, stile Ellroy... effettivamente forse uso una definizione che è solo mia. Quel tipo di giallo molto fumoso, che puzza di pioggia e benzina, dove a volte sembra che il mistero da risolvere sia più che altro nel cervello dei personaggi...
      Può anche darsi che la sia un'impressione creata dalla mia fantasia: ovvero, io Besz me la posso immaginare sempre avvolta nella nebbia, in bianco e nero, e Borlù con un impermeabile lungo e il cappello a tesa larga spinto sugli occhi, ma non è che venga descritto così. E' stato il linguaggio a portarmi in questa direzione, non ciò che viene effettivamente raccontato...

      Già, Borlù è solo una guida turistica, alla fine... poverino, finora è l'unico personaggio davvero positivo che sia riuscita a scovare in un romanzo di Miéville. Come a dire: se vuole caratterizzare, ha bisogno di inventarsi crimini orrendi o orrende teste da coleottero...

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    2. Sul noir, ok, capito l'equivoco. Credo che molte delle tue impressioni nascano dalla traduzione, che forse calca un po' la mano in certi passaggi.

      In ogni caso, per me il noir più che dalle scelte di linguaggio è definito dall'atmosfera, dal privilegiare l'aspetto ambientale rispetto alla trama, dal porre in primo piano l'aspetto morale/individuale della vicenda rispetto a quello etico/sociale. Ma oh… sono solo i miei due cent, che nemmeno io sono un esperto.

      Borlù è funzionale alla trama, peccato non riesca ad emergere di più. In questo senso m'ha ricordato parecchio l'Isaac Dan der Grimnebulin di Perdido Street Station.

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    3. Su Isaac non so dire: non mi è rimasto indifferente, l'ho odiato dal primo momento. Nella Città delle Navi succede la stessa cosa, invece: i personaggi secondari sono molto più interessanti dei principali e, in ogni caso, soffrono del fatto che sono tutti simboli - ognuno rappresenta uno degli Arcani Maggiori dei Tarocchi.
      Ho letto che il protagonista di Il Treno Degli Dei è invece un vero protagonista e che Miéville si è impegnato molto a caratterizzarlo. Non appena mi arriva l'e-reader (il romanzo ce l'ho in epub) lo attacco.

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    4. Noooo… povero Isaac! :-)

      Purtroppo mi mancano sia La Città delle Navi che Il Treno degli Dei, e non so quando riuscirò a rimediare.
      Ma tu tienici comunque aggiornati sui libri che leggi (elettronici o tradizionali), che è sempre interessante confrontare le impressioni di lettura (lo dico perché noto che è un po' che non aggiorni il blog…).

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    5. Vero, è un bel po' che non scrivo. E' che siamo in periodo di esami e, nei pochi momenti in cui mi sento abbastanza presente per buttare giù qualcosa, tendo a concentrarmi sulle varie tesine ^_^

      Inoltre, non riesco assolutamente a chiarirmi le idee riguardo ai romanzi di Miéville (che, alla fine, sono l'unica cosa che sono riuscita a leggere ultimamente). E' probabile che verrebbe fuori una cosa così:
      "questo romanzo mi ha fatto imbestialire perché ho avuto l'impressione che manco l'autore sapesse esattamente dove andare a parare. Mi sono spesso annoiata. Qualche volta non capivo quello di cui parlavano i personaggi, tanto erano obliqui i loro discorsi. Ora che ci penso, non mi piace neanche tanto come scrive, Miéville. Di tanto in tanto mi fa proprio schifo. E poi, donne con la testa di insetto che costruiscono statue psichedeliche usando la loro cacca cefalica? ma suvvia!
      Ah, a proposito, mi è piaciuto tutto un sacco, devo andare a cercare gli altri dieci romanzi scritti dall'autore nell'ultima manciata di anni e leggerli tutti. ORA."

      Ovvero, mi piace ma non so perché, dal momento che se mi soffermo sui singoli elementi lo trovo semplicemente irritante. Non si può scrivere una recensione che dica 'quest'uomo ha un nonsocché...', perciò, nel dubbio, preferisco non scrivere proprio. Magari prima o poi mi si chiariranno le idee.

      Speriamo che per vedere ri-pubblicati La Città delle Navi e Il Treno degli Dei non sia necessario aspettare la prossima volta che la Fanucci dovrà lanciare un nuovo romanzo di Miéville!

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    6. Spero anch'io di ritrovare, prima o poi, La Città delle Navi e Il Treno degli Dei, nel frattempo beh… mi godo la tua non-recensione.
      Che in effetti non hai mica tutti i torti! :-)

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  10. Sono abbastanza d'accordo su pregi e difetti. L'ho letto anche con piacere - seppur forse fosse un po' troppo lungo - ma il giudizio dipende dalle aspettative. L'idea delle intersezioni, dell'unseeing etc. è effettivamente ben gestita, ma è anche l'unica cosa che si stacca nel romanzo. Come poliziesco puro è forse troppo standard e ripetitivo, come poliziesco con ambizioni sociologiche al di là dell'idea/metafora centrale non è particolarmente profondo.


    - Cos'hai contro la YA? Non sai che anche il tuo amico McDonald ne ha appena scritta una?

    - Ho recuperato l'Alice Munro che avevi recensito tempo fa. Molto brava.

    - T'è poi piaciuto Wesley Stace? Io pensavo di prendere l'ultimo che ad occhio mi intriga di più.

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    1. Concordo con il tuo concordare, anche se… Troppo lungo? Per gli standard di Mieville è un libretto!

      - non ho nulla contro i YA, ne ho uno in casa! :-)
      Nella versione libraria necessitano solo di un minimo cambio di un prospettiva recensoria, che sono roba diversa dai romanzi standard. È questo quello che tentavo di evidenziare nella risposta a Simone. BTW quello di McDonald lo devo ancora leggere, anche se le recensioni (appunto) sono molto positive.

      - Ne ho un altro in coda, ma non so quando lo leggerò. È vero, la Munro è eccezionale.

      - La ballata di Miss Fortune m'è piaciuto parecchio, nonostante fosse un po', come dire, impetuoso e quindi un poco disordinato, m'ha fatto un'ottima impressione.
      Sto anche ascoltando un Who Was Changed and Who Was Dead, e mi piace parecchio anche questo. Ho visto che è stato tradotto in italiano pure By George, ci sto facendo un pensierino…

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    2. - Per gli standard di Mieville (che probabilmente andrebbe sempre sfoltito un po') si, ma come giallo forse poteva essere più magro. Voglio dire, sarà una una mia impressione/falso ricordo, ma quante volte qualcuno ripeteva che Orciny non esisteva o che il libro di coso era una patacca new age?

      - Ai tempi in cui ho studiato letteratura canadese mi sa che ero in una fase troppo modernista e racconti così apparentemente semplici non li apprezzavo abbastanza.
      In realtà la Munro ricorda molto Mavis Gallant, che invece ho scoperto anni dopo, quando ero più ricettivo, e mi era piaciuta da subito.

      - Anch'io sto acoltando WWCaWWD! Che tra l'altro, come ho avuto modo di dire altrove, prende il nome dal bellissimo romanzo di Barbara Comyns!

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    3. Sì, quando si fissa su una falsa pista Mieville è davvero uno zuccone, e ripetitivo per giunta.
      Dovrei provare a leggermi qualche altro romanzo per togliermi il dubbio, vedremo…

      (purtroppo non conosco ne Mavis Gallant ne Barbara Comyns, ah… l'ignoranza…)

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