30 luglio 2012

Campionati mondiali di Frisbee Freestyle

© giorgio raffaelli
Vi state abbuffando d'Olimpiadi? Siete diventati espertissimi conoscitori di tiro con l'arco, scherma, nuoto, ginnastica, judo e compagnia bella? La vostra televisione non ne può più di vedervi lì seduti a sudare, con gli occhi pieni d'atleti e record e gioia o delusioni?
Beh… potreste sempre fare un salto a Riccione, che da giovedì in avanti c'è il campionato mondiale di Frisbee Freestyle: un sacco di sport, tanta bella gente (vera! dal vivo!) e ottima compagnia, oltre a tante piadine da non poterne più.
Tutte le informazioni pratico-logistiche le trovare qui.
Noi ci saremo.


26 luglio 2012

Letture: Il ritorno delle furie, di Richard K. Morgan

© giorgio raffaelli
Avevo lasciato Takeshi Kovacs in fuga da un pianeta condannato alla guerra, un po' più ricco e  ancora più disperato di come lo avevo trovato dopo le sue avventure hard-boiled a Bay City. Nel terzo romanzo che Richard K. Morgan  dedica all'ex spedi, il buon Kovacs torna a casa.
Finalmente si scopre  la verità su ciò che ha tormentato i sogni e ricordi del nostro eroe negli ultimi decenni, custodia dopo custodia, guerra dopo guerra, un sistema stellare dopo l'altro.

Il ritorno delle furie  sembra fatto apposta per essere trasformato in un blockbuster hollywoodiano. Takeshi Kovacs è l'eroe perfetto per questi tempi disastrati: cinico e disincantato, con un passato torbido alle spalle e una coscienza che non riesce a mettere a tacere. L'ambientazione non è da meno:  guerra e disperazione, sangue, esplosioni e lacrime. Uno scenario divenuto ormai classico sfondo per l'azione a gogò:qualcosa a metà strada tra I mercenari e Serenity, se sapete di cosa sto parlando.

Ma il paragone è superficiale e non rende piena giustizia al lavoro di Richard K. Morgan. L'autore inglese tenta in ogni modo di infondere profondità e pathos alla sua creatura, ma nonostante il risultato si lasci apprezzare, Il ritorno delle furie mi pare meno riuscito rispetto ai precedenti romanzi che raccontano le avventure di Kovacs.
Se alla base di Bay City e Angeli spezzati c'erano idee sufficientemente complesse su cui fondare le relative vicende (le custodie, i marziani), Il ritorno delle furie si limita a proporre al lettore quella che pare essere null'altro che una trovata (il supercattivo) e una rivelazione (il ritorno di uno spettro dal passato), sfruttando  gli stessi elementi presentati nei capitoli precedenti per dare spessore al romanzo.
L'invenzione del nemico di Kovacs è gestita in modo brillante, certo, ma l'ho trovata al contempo eccessiva e non sufficientemente articolata per costituire da sola (o quasi) il nucleo del romanzo. Focalizzare buona parte della trama sullo scontro tra l'eroe e la sua nemesi costringe la storia a muoversi sui binari del confronto individuale, mentre i temi politico/sociali che avrebbero potuto dare complessità e vigore al romanzo (e per lunghi tratti ci riescono) finiscono per rimanere quasi soffocati dal fragore delle esplosioni che più di una volta riducono il romanzo al confronto elementare tra chi ha il cannone più grosso.

Nel romanzo precedente Kovacs si muoveva in uno scenario di tangibile disperazione, pieno di dubbi personali e misteri cosmici, ne Il ritorno delle furie il suo procedere nella vicenda è invece piuttosto meccanico, quasi distaccato, e sebbene le sorprese non manchino, le rivelazioni che lo aspettano non ripagano il lettore (questo lettore almeno) delle aspettative.
Per quanto la storia si riveli comunque appassionante fino all'ultima pagina, ci si ritrova a chiudere il libro non del tutto soddisfatti. Il paragone è forse troppo duro, ma viene da pensare che come quell'idea di rivoluzione che ha accompagnato Kovacs per tre romanzi viene costantemente sconfitta dal pragmatico cinismo della pratica politica quotidiana, così, ne Il ritorno delle furie, si assiste con rassegnazione alla progressiva normalizzazione delle ambizioni narrative del suo autore. Richard K. Morgan rimane comunque uno scrittore da tenere d'occhio, ma da questo romanzo mi aspettavo qualcosa di più.

23 luglio 2012

Letture: Magic for Beginners, di Kelly Link

© giorgio raffaelli
"Some things that you could try with zombies, but which won’t work:
Panic.
Don’t panic. Remain calm.
Call the police.
Take them out to dinner.
Buy them drinks. Buy them flowers.
Give them raises.
Ignore them.
Tell them your dreams.
Tell them jokes.
Tell them you love them.
Rescue them."

(Estratto da Some Zombie Contingency Plans, Kelly Link)



Magic for Beginners è un'antologia stupefacente, un viaggio in nove tappe nella fantasia inquieta e intrigante di Kelly Link. Tra vecchi cliché e nuove suggestioni, le storie raccolte in questo volume  travolgono il lettore con un universo pieno di strane cose, ma con i buoni vecchi esseri umani a risultare comunque i tizi più pericolosi, divertenti, complicati e spaventosi sulla piazza.
La qualità media dei racconti contenuti in Magic for Beginners è pazzesca. Così come la varietà di temi o il tono variopinto delle varie storie: si passa dalla favola brillante venata d'oscurità al mainstream corrotto dall'aggressione degli archetipi dedl genere, dal fantasy goticheggiante al racconto fantastico tradizionale, costeggiando una certa attitudine post-moderna (a la Aimee Bender) che rimane sotterranea e non prende quasi mai il sopravvento sulle forme più tradizionali della narrazione lineare.

Magic for beginners, il racconto che da il titolo alla raccolta, è forse l'esempio migliore del talento della Link nella composizione di storie in perenne bilico  tra normalità, fantastico e surreale. I suoi giovani adolescenti in amore, la soap opera come stile di vita, le (in)solite famiglie in crisi,  i supereroi e il grande vuoto là fuori sono gli elementi di una storia che per quanto cerchi la fuga consolatrice ti tiene invece incollato a terra, con le sue inespresse domande fondamentali, con tutti i dubbi e la mancanza di risposte con cui ci siamo abituati a convivere.

Peccato soltanto per il racconto lungo che chiude l'antologia, unica nota stonata in un volume altrimenti perfetto. Lull ha il difetto di essere probabilmente troppo ambizioso: è talmente pieno di idee, cose, suggestioni, riferimenti e mescolanze (viaggi nel tempo e demoni, separazioni, case abbandonate, poker, cloni e donne verdi, tra le tante) da risultarmi nel complesso piuttosto indigesto.  Ma un racconto così così contro otto storie che vanno dall'avvincente al memorabile, beh… mi sembra un ottimo risultato.

Magic for Beginners è disponibile con licenza creative commons presso il sito dell'autrice.
Provatelo e poi sappiatemi dire.

18 luglio 2012

L'inevitabile bellezza della montagna

© giorgio raffaelli
Il ritmo dei passi sulla terra battuta, un alito di vento a rinfrescare il cammino, intorno il verde dell'erba, più in là i colori caldi della roccia dolomitica. Il cielo è azzurro ghiaccio, grigio di nuvole, con il sole che spunta a tratti. Minaccia pioggia, ma chi se ne frega: non sono mai stato meglio che in questo luogo, zaino in spalla, a camminare in mezzo alle montagne.

Non faccio grandi pensate mentre attraverso una valle o mi inerpico per un ghiaione. Passeggiare nel bosco o scendere da una forcella non sono esperienze illuminanti, anzi. Camminare in montagna, almeno nei tratti più rilassati del sentiero, è forse la cosa che più mi avvicina alla meditazione: svuotare la mente, respirare, fare un passo, farne un altro.

Però ogni tanto mi  fermo a considerare quel che mi circonda. Mi guardo intorno e mi chiedo cos'è che mi fa stare così bene. Certo, c'è la componente puramente sensoriale, che va insieme alla memoria e riporta a casa il me stesso più giovane. La montagna vissuta da bambino, l'esplorazione e l'avventura, il gioco e la scoperta. Ma il viaggio nel tempo non basta a spiegare il godimento. Ci dev'essere anche una componente razionale che fonde estetica e ragionamento per produrre, qui e ora, la soddisfazione del momento.

Non trovo modo migliore per spiegare l'inevitabile bellezza della montagna che riflettere su caos e casualità, sull'ordine e il disordine della visione, sugli scambi tra osservatore e osservato.
L'aspetto delle Dolomiti per come appaiono all'escursionista è frutto del caso. Non c'è alcun progetto sotteso alla maestosità della loro presenza tranne che quello caotico delle forze geologiche che hanno modellato il territorio. Avete presente il teorema del milione di scimmie che battono a macchina? Fatevi un giro sulle Dolomiti, lo vedrete dimostrato.  Ed è liberatorio, e consolante, considerare come caso e probabilità abbiano prodotto un panorama tanto accessibile e meraviglioso.
Siamo abituati ad associare la bellezza alla creazione consapevole. Ammiriamo musica, pittura, letteratura. Rimaniamo affascinati dalla potenza della creatività umana. È quindi stupefacente ritrovare le stesse emozioni in un contesto che di umano non ha nulla. Non c'è ordine ne disciplina in un panorama montuoso, eppure ci ritroviamo un equilibrio e un'armonia che non manca di colpire la nostra immaginazione. Com'è possibile?

Credo che il senso di meraviglia che mi esalta quando interagisco con la montagna rappresenti il nucleo del rapporto di scambio che si instaura con qualsiasi soggetto noi entriamo in contatto. Come accade di fronte a un'opera d'arte, quello che percepiamo non è altro che un riflesso di quello che siamo e di quello che siamo disposti a concedere all'oggetto della nostra osservazione. L'autore non conta nulla o quasi, quel che conta è la capacità reciproca, dell'osservato e del'osservatore, di riflettersi nell'altro e raccontare, l'uno all'altro, la propria singola narrazione dell'esistente. E la montagna, che contiene nel momento del cammino tutta la nostra esperienza, fatta di tempo e sensi, e quindi di lavoro, di muscoli, di clima, è capace, come le migliori opere d'arte, di rompere il velo della quotidianità e portarci altrove, in quello che probabilmente è il nostro migliore riflesso, la nostra storia migliore.

06 luglio 2012

25 Miles

© giorgio raffaelli
Ok, con 25 miglia arriviamo a 3/4 della camminata che ci aspetta nei prossimi giorni, ma non conosco una canzone migliore di quella di Edwin Starr per accompagnare noi viandanti che si parte per i monti. (se ci fosse qualche dubbio, già, baby, è la montagna.)

Dopo l'ottima esperienza dell'anno scorso, quest'anno ci si riprova e si rilancia. Ci aspetta una camminata di una cinquantina di chilometri o poco più lungo le prime tre tappe dell'Alta Via delle Dolomiti N. 1, per poi deviare verso nord-est e tornare a valle. Si parte da Braies e si arriva a Cortina dopo essere saliti al Rifugio Biella, passati dall'Alpe di Fanes, inerpicati fino ai 2700 metri del rifugio Lagazuoi e scesi per tutta la val Travenanzes.

Non vedo l'ora di essere lassù, zaino in spalla e via a camminare.


03 luglio 2012

Letture: Alia, Robot, IASFM

© giorgio raffaelli
Tra un romanzo e l'altro cerco sempre di inserire tra le mie letture qualche volume di racconti. Negli ultimi mesi è toccato ad Alia Anglosfera, a un paio di numeri di Robot (il 61 e il 62) e a un vecchio numero dell'edizione italiana della Isaac Asimov Science Fiction Magazine (il numero 7 della gestione Phoenix). Quelle che seguono sono alcune note sui racconti contenuti nelle quattro pubblicazioni.

Partiamo da Alia Anglosfera, edizione del 2009.
Come già fatto nelle note agli altri numeri di Alia, la prima considerazione da fare appena terminata la lettura è notare quali risultati si riescano a raggiungere e cosa si riesca a realizzare se sufficientemente motivati, pur senza godere di budget significativi. Questo volume è stato infatti realizzato da un pugno di appassionati che risponde ai nomi di Davide Mana, Silvia Treves e Massimo Citi, che si sono occupati di ricerca e traduzione dei racconti, supervisione, impaginazione e stampa.
Alia Anglosfera contiene sette racconti a cavallo tra fantastico e fantascienza scritti da Ted Chiang, Lillian Csernica, Ellen Kushner, Michael Moorcock, Tim Pratt, Delia Sherman e Karl Schroeder.
Se conoscete questi nomi (io ne conoscevo solo qualcuno) potrete forse immaginare la varietà dei temi dei racconti e della scrittura, varietà che in effetti può lasciare spiazzato più di un lettore. Dal mio punto di vista la proposta variegata di Alia è un ottimo sistema per assaggiare una serie di piatti narrativi  che altrimenti non avrei mai provato. E mi ha confermato quel che in fondo già sapevo: mi devo procurare al più presto un romanzo di Tim Pratt.



E veniamo a Robot. Per qualche nota generale sulla rivista di Delos Book vi rimando a questo post. Stavolta mi voglio concentrare sui racconti contenuti negli ultimi numeri letti.
Nello specifico, il numero 61 di Robot contiene il racconto premio Hugo 2010 La sposa fredda di Will McIntosh, piccola storia dal respiro molto ampio, capace di raccontare da un punto di vista insolito l'evoluzione delle relazioni umane (o la mancanza delle stesse), a me è piaciuto. Di seguito Hidden di Luigi Rinaldi storia di una ricerca senza speranza, in una zona aliena. Il racconto ha il passo pesante di chi si trova a ripercorrere strade già frequentate da altri, e con ben diversi risultati, con la frenesia di dover dimostrare la propria originalità, e forse per questo motivo non mi è piaciuto.
Nelle pagine successive un altro racconto italiano, Vestiti usati a Treptow Markt di Marialuisa Amodia che è invece formidabile nel mescolare fantastico e quotidiano, con un'ottima gestione dell'ambientazione e una trama che mescola storia personale e mistero con grande equilibrio e leggerezza, senza per questo suonare accomodante o superficiale. Secondo me il punto più alto di questo numero di Robot e forse il miglior racconto italiano letto quest'anno.
Il racconto successivo è il recupero dai primi anni '70 de L’ultima giga di Remo Guerrini. Racconto solido e ben scritto ambientato in uno scenario post-apocalittico dal sapore spiccatamente fantasy. È il genere di storia che ha sicuramente i suoi meriti, ma che io faccio fatica ad apprezzare per quanto derivativa appare. Chiudono questo Robot due racconti, Alice davanti allo specchio di Sergio Cicconi e Pervertito di Charles Coleman Finlay che non mi sono piaciuti per motivi analoghi: un voler estremizzare situazioni e prospettive senza avere poi la capacità di portare la propria scrittura agli stessi punti di rottura che le loro storie richiederebbero, con il risultato di non riuscire a coinvolgere il lettore (questo lettore perlomeno).

Il numero 62 di Robot si apre con una copertina davvero invitante ad opera di Brian Despain, forse una delle più azzeccate della storia recente della rivista. I racconti stranieri presenti nel volume sono tutti made in Canada, così come il contenuto redazionale che è dedicato per la gran parte alla produzione del paese nordamericano (spicca a questo proposito l'articolo di Salvatore Proietti dedicato alla fantascienza locale, davvero ricco e informato). La narrativa italiana è rappresentata dall'ultimo racconto scritto da Vittorio Curtoni. Procedura empatica ripercorre i temi e le sensazioni più care a Vittorio, con quella vena di amarezza mescolata insieme a un esile speranza e all'eterno pessimismo che è forse il tratto distintivo dell'autore. A me la sua fantascienza non ha mai convinto: troppo autoreferenziale e involuta per i miei gusti, ma questo racconto rappresenta una testimonianza unica di quel che è stato l'ultimo periodo di Vittorio Curtoni e per questo merita comunque il massimo rispetto.
Dicevamo degli autori canadesi presenti in questo Robot. Sono Peter Watts con L'isola, una storia piuttosto ambiziosa che racconta insieme di esplorazione, alienazione, famiglia e lotta di potere. L'isola è un racconto complesso e interessante, pieno di suggestioni e interrogativi. Forse un po' troppo freddo nel suo essere spietatamente analitico, ma ce ne fossero…
Non altrettanto interessanti gli altri racconti di Tanya Huff (Una volta conoscevo un tipo) e Robert J. Sawyer (Questione di tempo) che battono piste già battute un milione di volte prima di loro. Eentrambi lo fanno però con garbo e mestiere, lasciandosi leggere fino in fondo.
Per dovere di completezza vanno segnalati anche Il significato del Natale di Riccardo Restelli e Distacco da Garics di Maurizio Del Santo, il primo è un  racconto nostalgico e melenso che vorrebbe magari suonare fiabesco ma che invece appare solo terribile nei contenuti come nello svolgimento, il secondo è un racconto di primo contatto con tutte le sue cose al posto giusto, ma che per un motivo o per l'altro non è riuscito ad appassionarmi quanto avrebbe dovuto.



Concludo questa carrellata con un tuffo nel passato prossimo delle pubblicazioni che hanno portato in italia la fantascienza più innovativa e dirompente. Sto parlando dell'unica, indimenticabile, incredibile, Isaac Asimov Science Fiction Magazine, che in una manciata di numeri usciti tra il 1993 e il 1995, sotto l'etichetta di Telemaco prima e Phoenix poi, ha tentato di dirottare la fantascienza nazionale su una strada diversa da quella percorsa dagli editori dell'epoca.
Il numero 7, uscito nel novembre del 1994, è una raccolta antologica a tema, dedicata in toto alla realtà virtuale. Leggendo i vari racconti raccolti nel volume (sono 9, ad opera di Mary Rosenblum, Robert Silverberg, Geoffrey A. Landis, Nancy Kress, Pat Cadigan, Eileen Gunn, Sonia Orin Lyris, Jonathan Lethem e Cherry Wilder) la prima cosa che salta agli occhi è quanto velocemente invecchi la fantascienza che cavalca la moda del momento. Fantascienza che all'epoca colpiva per l'approccio user friendly a materie magari esotiche, ma che senza il supporto di una scrittura all'altezza perde in fretta il suo pregio migliore che è quello della novità. E come sia facile (soprattutto col senno di poi!) riconoscere invece quegli autori capaci di lasciare un segno indelebile nella memoria, Nel caso di questo numero della IASFM i racconti che si leggono tuttora con autentico piacere sono Chip runner di Bob Silverberg, solida fantascienza classica ma potente, Post mortem di Pat Cadigan, un racconto che più anni '80 di così è difficile immaginarlo (ma in senso buono!) e "Per Sempre" disse il papero di un giovane Jonathan Lethem, allora ancora alle prese con i dintorni della fantascienza, che ci da dentro come suo solito.
Ritrovarsi a leggere queste vecchie storie (si fa per dire…)  che hanno già un paio di decenni sulle spalle è comunque esperienza interessante. Aiuta a mettere meglio a fuoco il presente, e non solo quello fantascientifico. Esperimento da ripetere.