18 luglio 2012

L'inevitabile bellezza della montagna

© giorgio raffaelli
Il ritmo dei passi sulla terra battuta, un alito di vento a rinfrescare il cammino, intorno il verde dell'erba, più in là i colori caldi della roccia dolomitica. Il cielo è azzurro ghiaccio, grigio di nuvole, con il sole che spunta a tratti. Minaccia pioggia, ma chi se ne frega: non sono mai stato meglio che in questo luogo, zaino in spalla, a camminare in mezzo alle montagne.

Non faccio grandi pensate mentre attraverso una valle o mi inerpico per un ghiaione. Passeggiare nel bosco o scendere da una forcella non sono esperienze illuminanti, anzi. Camminare in montagna, almeno nei tratti più rilassati del sentiero, è forse la cosa che più mi avvicina alla meditazione: svuotare la mente, respirare, fare un passo, farne un altro.

Però ogni tanto mi  fermo a considerare quel che mi circonda. Mi guardo intorno e mi chiedo cos'è che mi fa stare così bene. Certo, c'è la componente puramente sensoriale, che va insieme alla memoria e riporta a casa il me stesso più giovane. La montagna vissuta da bambino, l'esplorazione e l'avventura, il gioco e la scoperta. Ma il viaggio nel tempo non basta a spiegare il godimento. Ci dev'essere anche una componente razionale che fonde estetica e ragionamento per produrre, qui e ora, la soddisfazione del momento.

Non trovo modo migliore per spiegare l'inevitabile bellezza della montagna che riflettere su caos e casualità, sull'ordine e il disordine della visione, sugli scambi tra osservatore e osservato.
L'aspetto delle Dolomiti per come appaiono all'escursionista è frutto del caso. Non c'è alcun progetto sotteso alla maestosità della loro presenza tranne che quello caotico delle forze geologiche che hanno modellato il territorio. Avete presente il teorema del milione di scimmie che battono a macchina? Fatevi un giro sulle Dolomiti, lo vedrete dimostrato.  Ed è liberatorio, e consolante, considerare come caso e probabilità abbiano prodotto un panorama tanto accessibile e meraviglioso.
Siamo abituati ad associare la bellezza alla creazione consapevole. Ammiriamo musica, pittura, letteratura. Rimaniamo affascinati dalla potenza della creatività umana. È quindi stupefacente ritrovare le stesse emozioni in un contesto che di umano non ha nulla. Non c'è ordine ne disciplina in un panorama montuoso, eppure ci ritroviamo un equilibrio e un'armonia che non manca di colpire la nostra immaginazione. Com'è possibile?

Credo che il senso di meraviglia che mi esalta quando interagisco con la montagna rappresenti il nucleo del rapporto di scambio che si instaura con qualsiasi soggetto noi entriamo in contatto. Come accade di fronte a un'opera d'arte, quello che percepiamo non è altro che un riflesso di quello che siamo e di quello che siamo disposti a concedere all'oggetto della nostra osservazione. L'autore non conta nulla o quasi, quel che conta è la capacità reciproca, dell'osservato e del'osservatore, di riflettersi nell'altro e raccontare, l'uno all'altro, la propria singola narrazione dell'esistente. E la montagna, che contiene nel momento del cammino tutta la nostra esperienza, fatta di tempo e sensi, e quindi di lavoro, di muscoli, di clima, è capace, come le migliori opere d'arte, di rompere il velo della quotidianità e portarci altrove, in quello che probabilmente è il nostro migliore riflesso, la nostra storia migliore.

3 commenti:

  1. Non ti facevo così poetico Iguana, belle parole...
    Marco Cavani

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    1. Ciao Marco!
      Visto che roba? Sarà stata l'aria di montagna… :-)

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  2. Sono cresciuta in montagna e penso che non ci sia posto migliore di quello, peccato che per motivi di lavoro mi sono trasferita in città ma quando posso torno là a respirrare l'aria pura.Elena A.

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