31 dicembre 2013

Letture 2013: diamo i numeri.

© giorgio raffaelli
 Siamo al 31 dicembre e anche per quest'anno ce la facciamo! Ecco qui, solo per voi, il post di fine anno, con tutti i numeri che contano per tirare le somme di questo 2013.

Quest'anno ho letto 46 libri, tra ebook (21) e volumi cartacei (25). Andando a vedere l'elenco degli autori, tolte le antologie e i volumi multitautore (3), solo otto dei rimanenti 43 volumi sono stati scritti da autrici. Anche se il tasso di qualità di questi volumi è decisamente più alto di quanto siano riusciti a combinare i corrispettivi maschili (vedi più in basso), questo è un dato che mi dà sempre da pensare. Tutti gli anni mi ripeto che dovrei prestare più attenzione all'universo femminile ma poi, a tirar le somme, i risultati son questi. Qualche ipotesi sulle cause? L'abitudine a privilegiare territori conosciuti (e quindi autori già letti in precedenza, titoli sicuri)? La minor presenza di autrici tra i generi di libri che prediligo o tra quelli che attirano la mia attenzione? Un pregiudizio silente su quel che combina l'altra metà del cielo? Mah…

La letteratura di genere (fantascienza soprattutto, con qualche puntata nel fantastico tout court) ha rappresentato l'esatto 50% dei volumi letti, ma la quantità non è andata a discapito della qualità, che quest'anno tra i lbri che più ho apprezzato la fantascienza se la gioca alla pari con la letteratura seria.

Tra i titoli da ricordare vanno citati senza dubbio L'italiana di Joseph Zoderer, Moxyland di Lauren Beukes, Wild Life di Molly Gloss, Respirazione artificiale di Ricardo Piglia e Surface details di Iain M. Banks.



Se i cinque titoli qui sopra sono senz'altro il meglio di quanto letto nel 2013, non vanno nemmeno dimenticati i due romanzi di Richard K. Morgan The Steel Remains e The Cold Commands, Limonov di Emmanuel Carrère e poi In Great Waters di Kit Whitfield, Sun of Suns di Karl Schroeder, o l'esordio fantascientifico di Ann Leckie: credo che Ancillary Justice farà parlare parecchio di sé nel prossimo futuro. Tra le produzioni nostrane la maggior soddisfazione m'è arrivata dalla lettura delle Quattro apocalissi di Andrea Viscusi, subito doppiate da Spore. Non ho ancora avuto modo di parlare di quest'ultimo volume (come di molti altri citati più sopra), ma non posso che consigliarne la lettura urbi et orbi, che le storie di Andrea sono quanto di meglio la fantascienza italiana abbia da offrire al lettore curioso. Tra gli altri titoli italiani da segnalare ci sono la mia personale scoperta di Giorgio Scerbanenco (arrivo tardi, ma arrivo…), che il suo Centodelitti è uno di quei volumi capaci da soli di illuminare il percorso di qualsiasi lettore e citare ancora una volta, che non lo farò mai abbastanza, La rabbia dentro di Lui Tasini.



Il blog quest'anno ha un po' battuto  la fiacca, sia come contenuti che, logica conseguenza, come visite e seguito. Il fatto di aver cambiato lavoro all'inizio dell'anno, ed essere stato quindi costretto per questo motivo a ridurre di molto la mia presenza in rete, è solo una parte delle cause che hanno visto ridursi di oltre il 30% il numero di post e tagliare drasticamente il tempo dedicato ai blog che ero solito seguire. Non so come andranno le cose nel 2014, non credo ci sarannno miglioramenti nella quantità o nel tenore dei post, ma spero che chi segue il blog continui ad apprezzarne tono e contenuti. O che almeno si faccia vivo per protestare!

Per concludere non rimane che da fare a tutti gli auguri per un meraviglioso anno nuovo. Spero ci si riesca a vedere in giro. Nel frattempo cercate di godervi al meglio il nuovo anno, che 365 giorni passano anche troppo veloci per  i miei gusti!
Buon 2014!



(Gli elenchi degli anni scorsi li trovate qui: 2012, 2011, 2010, 2009, 2008, 2007, 2006, 2005, 2004, 2003.)

20 dicembre 2013

Letture: Christopher Brookmyre, Patrick O'Brian, Christopher Moore, Fredric Brown

© giorgio raffaelli
Christopher Brookmyre - La magica arte del furto
Ritorni sul luogo del delitto e scopri che dai, in fondo, 'sto scozzese non è poi male e che il suo problema è aver stabilito uno standard inarrivabile (che io il suo Scusate il disturbo ce l'ho sempre nel cuore, che non ho più letto un libro altrettanto divertente, scatenato e avvincente).
Avevo mollato Christopher Brookmyre dopo Real Life™ che ok, si fa leggere, ma che m'è parso in più di un'occasione stanco e pretenzioso, quasi che l'autore si fosse infilato in un vicolo cieco narrativo che lo costringesse a ripetere ad libitum lo stesso copione. Non che La magica arte del furto rappresenti chissà quale cambio di rotta, ma la verve e il ritmo, le invenzioni e le sorprese rendono la lettura del romanzo un'esperienza davvero piacevole.
All'inizio del 2013 Christopher Brookmyre ha pubblicato Bedlam, il suo primo romanzo di fantascienza. Capirete quindi bene la mia curiosità al riguardo: qualcuno là fuori l'ha letto?



Patrick O'Brian - Primo comando
Letto Longitudine mi son sentito finalmente pronto per affrontare il mare aperto. Patrick O'Brian era da anni tra i desiderata, dopo averne sentito parlare decine di volte, in termini sempre entusiastici, da più di un vicino fantascientifico e quando il mio spacciatore di ebook preferito ha messo in offerta i primi volumi della saga di Aubrey & Maturin ho sciolto le vele e via.
Il viaggio intrapreso con Primo comando è stato avventuroso quanto piacevole, che Patrick O'Brian si è dimostrato molto abile nel coniugare realtà storica e personaggi che rimangono impressi nella memoria, insieme a un punto di vista contemporaneo che ben si fonde con l'atmosfera di fine '700 in cui è ambientato il romanzo.
Come spesso mi accade, sono arrivato tardi a scoprire l'universo marinaresco di O'Brian, ma è stata davvero una bella scoperta!



Christopher Moore - Il Vangelo secondo Biff
Cercavo un libro divertente e su Il Vangelo secondo Biff si son spese un sacco di belle parole in giro per la rete. Sono sempre piuttosto sospettoso quando l'argomento è la religione, il suo contorno storico, le sue figure di riferimento, ma mi dico sempre che bisogna superare il pregiudizio e, almeno ogni tanto, provare qualcosa di nuovo.  
Christopher Moore è abile a mantenere la narrazione sul piano del quotidiano, a costruire una storia del Cristo scevra da ogni potenzialità polemica e a renderla al contempo avvincente, divertita e divertente. Trasformare la vita mai narrata di Gesù in un romanzo di formazione dai contorni fantasy, infarcirla di suggestioni orientali, cercando la fedeltà storica senza rimanerne ingabbiati, fino a ricongiungersi alla narrazione istituzionale dei vangeli canonici e mantenere comuque una spiccata autonomia autoriale è davvero operazione degna di nota. Poi certo, io l'ho trovato eccessivamente consolatorio e un po' troppo accondiscendente, e quindi incapace di strapparmi poco più di un sorriso, ma si sa, io sono un lettore bastardo senza dio: se avete un animo appena più sensibile lo apprezzerete certo quanto merita.



Fredric Brown - Cosmolinea B-1
Avevo un ricordo memorabile della doppia raccolta dei racconti di Fredric Brown. Avevo letto e perduto l'edizione originale degli anni '80, comprata durante una vacanza al mare da una bancarella a un prezzo ridicolo, e per i decenni successivi ho cercato spesso di recuperare quei due volumetti. Ho quindi apprezzato molto la scelta di Giuseppe Lippi di dedicare due Millemondi alla ristampa di questa incredbile antologia.
A oggi ho (ri)letto solo il primo volume, e ritrovare intatta la capacità di Fredric Brown di stupire, meravigliare, divertire e inquietare il lettore è stata una gran bella soddisfazione. Nonostante queste storie abbiano ormai più di mezzo secolo sulle spalle rimangono ancora tra le letture che più riescono a trasmettere quel senso del meraviglioso che caratterizza un intero genere letterario, sia che si mantenga sui toni solari della scoperta stupefacente o viri verso quelli più oscuri del perturbante.
I racconti raccolti nei due Cosmolinea hanno fatto la storia del fantastico americano del secolo scorso. Leggeteli, non ve ne pentirete.

17 dicembre 2013

Letture: L'uomo a un grado Kelvin, di Piero Schiavo Campo

© giorgio raffaelli

Uno slogan di Urania recita "Dal 1952 la macchina del tempo non si è mai fermata". M'è tornato in mente  una volta concluso il romanzo di Piero Schiavo Campo, che la sensazione più forte lasciatami dalla lettura è stata di sfasamento temporale. L'uomo a un grado Kelvin sarebbe stato infatti un ottimo romanzo, fosse uscito un cinquant'anni fa. Ora, beh… ora non ne sono così sicuro.

L'uomo a un grado Kelvin è il romanzo vicitore dell'ultima edizione del Premio Urania. Come per I senza-tempo l'anno scorso, l'uscita del volume è stata accolta da una serie di recensioni piuttosto positive che, al contrario di quanto successe con il romanzo Alessandro Forlani, segnalano in questo caso la stretta appartenenza al genere, oltre a sottolineare le virtù scientifiche dell'opera e un'ottima gestione della trama gialla che accompagna il lettore fino al termine della vicenda. Piero Schiavo Campo è uno scienziato, e la sua preparazione si nota, ancor più che nell'estrapolazione (fanta)scientifica dello sfondo futuribile in cui si svolgono gli avvenimenti narrati (computer quantistici, teletrasporto, realtà virtuali), nell'attenzione che dedica alle dinamiche proprie della ricerca, che sono forse l'aspetto più interessante del romanzo.

La trama gialla che costituisce il motore del romanzo, invero piuttosto complessa, parte con l'omicidio di un famoso scienziato e prosegue con la relativa indagine, che si sposta tra Milano e Parigi - per tacere delle numerose tappe in fantasiosi mondi virtuali - e vede alternarsi sulla scena Dick Watson, investigatore dell'Europol, e i suoi colleghi, alle prese con scienziati scomparsi, bande armate di origine slava e le famiglie della criminalità cinese che si son spartite interi quartieri di Milano, senza dimenticare la polizia padana e gli hacker che popolano il lato più oscuro della rete.
Come si vede di carne al fuoco Piero Schiavo Campo ne mette parecchia. A suo merito va detto che la narrazione rimane sempre piuttosto equilibrata, ogni comprimario ha il suo dovuto spazio e il mistero rimane nebuloso fino alla fine.

Se la struttura del romanzo è piuttosto ben congeniata, quel che resta del tutto insufficiente - qui e ora - è la consistenza e la credibilità dei vari personaggi, che si muovono, parlano e interagiscono come se il tempo non fosse passato, e le coordinate temporali del loro universo narrativo fossero rimaste bloccate a cinquant'anni fa, quasi che nel frattempo la fantascienza non fosse riuscita ad evolversi dall'epoca dorata della sua infanzia e la realtà umana ritratta dai suoi autori fosse sempre quella semplice e addomesticata che usciva dai racconti delle riviste dell'epoca. La conseguenza più immediata di questo aspetto del romanzo è un senso di noia e insofferenza, con il lettore incapace di trovare una qualche connessione tra il panorama urbano e tecnologico in cui è immersa la storia, adeguato alla visione standard del futuro emersa in questi ultimi decenni, e il costante fuori sincrono in cui si muovono gli attori del romanzo.
In questo senso L'uomo a un grado Kelvin mi pare esemplare dello stato dell'arte della fantascienza nostrana, che ha ormai perso ogni velleità di affrancarsi dal passato per affrontare finalmente il futuro, e si riduce sempre più a genere nostalgico per vecchi adolescenti che si rifiutano di crescere. Certo, è una generalizzazione, magari troppo severa, ma se penso ai titoli migliori usciti nel mondo anglosassone negli ultimi anni e mi confronto poi con la realtà italiana, quale altra risposta tocca darsi?

09 dicembre 2013

Letture: Mar del Plata, di Claudio Fava

© giorgio raffaelli
Ci sono libri che suonano stonati e che quando hai finito di leggerli non riesci a dimenticare, perché vorresti in qualche modo aggiustarli, per toglierti quella specie di irritante prurito dovuto alla sensazione di sbagliato, che aumenta pagina dopo pagina dopo pagina.
Mar del Plata è uno di quei lbri.
Claudio Fava ha scritto questo libro per ricordare un episodio della dittatura argentina: una squadra di rugby i cui giocatori sono stati eliminati tutti, uno per uno, fino a lasciare un unico sopravvissuto. L'autore avrà avuto le migliori intenzioni, ma il risultato è talmente farlocco che è difficile immaginare un esito peggiore.

Qual è il modo migliore per ricordare le vittime di una tragedia come quella dei desaparecidos argentini?
Credo che un racconto che voglia narrare in forma romanzata una storia vera come quella del La Plata Rugby Club debba ricercare, per quanto possibile, la maggior fedeltà possibile ai fatti, al periodo, alle circostanze in cui si è sviluppata. Volendo riproporre la Verità, l'autore si assume un'enorme responsabilità, prima di tutto nei confronti dei protagonisti reali della vicenda e quindi del lettore a cui propone il racconto.
Mar del Plata contiene una tale mole di invenzioni, false supposizioni e retorica da lasciare la Verità monca e sofferente in un angolo, soffocate dall'ego e dall'incuria del suo autore, che piega e addomestica i fatti alla propria visione, che sarà anche giusta, ma che diventa sbagliata per eccesso di zelo.

Partiamo dal rugby. Se vuoi raccontare le gesta di una squadra che gioca con la palla ovale dovresti avere l'umiltà di informarti su come funziona il gioco, se non altro per mostrare un minimo di rispetto nei confronti dei giocatori di cui vuoi narrare la tragica storia. Dovresti ricordare che la squadra vittima della repressione fascista del regime era quella del La Plata Rugby Club, che la città di Mar del Plata non c'entra nulla, essendo una località distante parecchie centinaia di chilometri dal luogo dove si svolsero i fatti, e la sua squadra di rugby niente ha a che fare con questi avvenimenti. Dovresti notare che le sette vittime di cui racconti il tragico destino non sono nemmeno la metà di una squadra di rugby e spiegare magari che - la matematica non è un'opinione - per lasciare un unico spravvissuto quei ragazzi uccisi giocavano una versione del gioco del rugby che prevede sette giocatori per squadra. Capisco poi che i ruoli nel rugby siano complessi da comprendere, ma credo sarebbe bastato far leggere il libro a qualche giocatore perché ci si rendesse conto della quantità di errori presenti. Errori che sarebbero del tutto veniali, se non contribuissero a svilire la qualità del racconto e quindi la forza del tributo che si vuol rendere a questi uomini.
Di più, e peggio, Claudio Fava vuol far passare l'idea del rugby come sport proletario che, per quanto riguarda l'Argentina, è cosa storicamente falsa e pregiudizievole. Come se poi un morto proletario valesse di più di un morto di un'altra classe sociale. Ma Fava preferisce la retorica populista del povero cristo che cerca riscatto nello sport, alla più banale verità che si possa soffrire su un campo di rugby anche se si proviene da una buona famiglia.

Ma il rugby è solo un aspetto del pasticciaccio brutto messo insieme da Fava. Perché non saprei come altro definire la scelta dell'autore di trasformare Raúl Barandiarán, il giocatore sopravvissuto alla mattanza compiuta dal regime dei generali, nel povero nipote di un emigrato siciliano, e di infilare nel testo tutta una serie di sicilianismi che nemmeno Camilleri… Ma s'è già detto sopra: la retorica in questo libretto impera, e Fava usa tutti gli strumenti in suo possesso per trasformare il recupero di una tragica vicenda storica in un testo che non serve alla memoria collettiva ma che risponde piuttosto alle esigenze del suo autore. Claudio Fava vorrebbe trasformare la storia particolare di questa squadra nella vicenda universale di tutti quei morti ammazzati perché si sono opposti al potere. Lo scopo è nobile, ma non è piegando la verità, trasformando i fatti, lasciando campo libero alla retorica che si può sperare di raggiungerlo. Quelli sono gli strumenti della propaganda e la propaganda è il braccio sottile del potere.

Claudio Fava scrive, nella postfazione al volume: "[…] questo libro. Che non vuole raccontare i fatti: ho preferito immaginare i pensieri e i gesti di quei ragazzi che scelsero di restare e di morire. […] Il nome di Raul, il sopravvissuto, l’ho conservato. Gli altri, carnefici e vittime, li ho ribattezzati: mi piaceva pensare che ognuno di loro avrebbe portato con sé, in questo libro, qualcosa in più del proprio nome, qualcosa in più della propria morte."
Se Claudio Fava avesse avuto l'approccio di un David Peace (parlo di lui perchè Il maledetto United ha qualche similitudine con questo Mar del Plata) e la sua scrittura avesse avuto anche solo la metà della potenza di quella dell'autore inglese, allora un'affermazione come la sua potrebbe avere ancora senso. Dopo aver letto questo volume credo invece che quei ragazzi si siano visti togliere qualcosa da questo libro, che la storia delle loro vite e delle loro morti avrebbe meritato un trattamento migliore.
Se il libro fosse un semplice romanzo non starei qui tanto a menarmela con la Verità, ma Mar del Plata è una bugia raccontata con le migliori intenzioni. E per me questo continua a rimanere sbagliato.

Per qualche informazione in più sulla vera storia dei giocatori del La Plata Rugby Club vi consiglio di fare un giro su questa pagina (è in lingua spagnola) oppure di leggere questo post dal blog Libri di bordo. Qui e qui ci sono invece due articoli che il giornalista argentino Gustavo Veiga ha dedicato alla vicenda.


05 dicembre 2013

Letture: Ted Chiang, Giorgio Scerbanenco, Dava Sobel

© giorgio raffaelli
Ted Chiang - Il ciclo di vita degli oggetti software
Ted Chiang ci ha abituato a uno standard qualitativo senza uguali nel panorama della fantascienza di questi ultimi decenni. I suoi racconti sono esempi pressoché perfetti di narrazioni rigorose dal punto di vista della speculazione (fanta)scientifica che si sviluppano in storie capaci di fondere immaginazione e dubbi metafisici, mantenendo comunque sempre alta l'attenzione all'umanità dei personaggi.

Il ciclo di vita degli oggetti software rappresenta ad oggi il suo unico tentativo di uscire dai limiti del racconto per svilupparsi sulla lunghezza del romanzo (per quanto non superi neanche in questo caso la soglia delle 150 pagine). Il tasso di invenzione ed estrapolazione scientifica del volume è come sempre altissimo: si parla di sviluppo di intelligenze artificiali, partendo dalla creazione di animali virtuali, esaminando le conseguenze della loro diffusione come oggetti d'intrattenimento e del conseguente sviluppo di comunità di utenti, oltre che del rapporto che si crea tra produttori di software, sviluppatori e pubblico, esaminando nel frattempo i percorsi evolutivi artificiali che riguardano gli "oggetti software" del titolo del romanzo.

Se la qualità e la densità della componente (fanta) scientifica del romanzo è fuori discussione, i limiti de Il ciclo di vita degli oggetti software riguardano l'estrema freddezza dello stile adottato da Ted Chiang per portare avanti la narrazione, che non riesce mai a diventare appassionante e a rendere partecipe il lettore del percorso emotivo, oltre che intellettuale, che si compie nei rapporti tra i vari elementi che concorrono alla creazione della vicenda.
Il ciclo di vita degli oggetti software è un'ottima storia, ottimamente costruita e sviluppata, ma è un caso esemplare di come basare la forza del racconto unicamente sulla speculazione intellettuale di una potenziale innovazione tecnologica possa risolversi in un pregevole esperimento di estrapolazione, con il rischio però di perdere per strada l'idea di una letteratura capace di unire pulsioni umane e avanguardia scientifica.


Giorgio Scerbanenco - Il centodelitti
Con la lettura de Il centodelitti ho concluso una sorta di personale trilogia degli anni '60, partita con un giro nella Milano de La vita agra di Luciano Bianciardi e proseguita poi nel profondo nord de L'italiana di Joseph Zoderer.
Quel che i tre volumi condividono  è la consapevolezza del racconto di alcune vite colte in un momento di passaggio, osservate con sguardo lucido e trasparente, attento alle dinamiche sociali dell'epoca, riportato poi su carta con nitidezza, senza moralismi o pesantezze retoriche. Poi certo, gli anni '60 narrati dai tre autori non potrebbero essere più diversi nelle loro declinazioni personali, ma leggendo Scerbanenco e poi Zoderer non ho potuto fare a meno si sentire rieccheggiare sullo sfondo le voci e gli avvenimenti di una Milano collettiva che risuona nel ricordo virtuale anche di chi, come me, degli anni '60 ha  impressa nella memoria solo qualche istantanea, tra foto di parenti, riviste che giravano per casa (Epoca!) e scorci di caroselli televisivi.

Il centodelitti è il volume che raccoglie cento racconti scritti da Giorgio Scerbanenco a partire dal 1963, e rappresenta un panopticon del panorama criminale dell'epoca. L'aspetto più straordinario di questa raccolta, oltre alla qualità media delle storie che lascia davvero stupefatti, è la capacità di Scerbanenco di tracciare in poche righe i ritratti definitivi di decine e decine di tipi umani, di indagare sul male senza reticenze o pudori, lasciando trapelare come lampi di luce momenti di tenerezza che giungono spesso inaspettati, e una compassione per il destino di molti dei suoi personaggi che lascia giusto un filo di speranza in un mondo altrimenti perduto. Senza dimenticare che molti dei racconti raccolti nel volume sono perfetti meccanismi narrativi, sia che sfruttino l'effetto sorpresa del finale, sia nella gestione della tensione tipica di queste storie nere.
Non avevo mai letto Giorgio Scerbanenco prima d'ora. È stata una gran bella scoperta.


Dava Sobel - Longitudine
Longitudine è un libro che non t'aspetti d'incontrare da 'ste parti. Io per primo sono rimasto sorpreso da questo volume di Dava Sobel, che non mi capita spesso di leggere testi divulgativi a tema storico/scientifico.
Ma è successo che ho incrociato un paio di recensioni entusiaste girovagando su anobii, e sono rimasto intrigato dall'argomento:
"Nel 1714 il Parlamento inglese offrì una ricompensa di ventimila sterline in oro (l'equivalente di 10 milioni di euro) a chi avesse scoperto come determinare la longitudine di una nave nell'oceano. Fu un orologiaio autodidatta, l'inglese John Harrison, a trovare la soluzione: bastava che ogni nave fosse equipaggiata con un cronometro in grado di segnare sempre l'ora "esatta", quella di Londra, ad esempio, e un semplice confronto con l'ora locale avrebbe istantaneamente fornito la longitudine della nave." (Estratto dalla presentazione del volume)

Non so niente di navigazione, e non avrei mai pensato che il problema della determinazione della longitudine in mare fosse così complesso da risolvere. Il testo della Sobel racconta in maniera appassionata le vicende dell'epoca, affrontando le problematiche scientifiche e gli ostacoli politici che hanno complicato il cammino verso la soluzione del problema. Per farlo alterna i ritratti delle personalità che si sono scontrate sul cammino della ricerca con il racconto delle varie teorie che avrebbero potuto risolvere la questione, fornendo un panorama sul metodo scientifico e sui progressi delle conoscenze tecnologiche in un'epoca tra le più creative dello scorso millennio. Arrivato in fondo al libro ho iniziato a guardare ai cronometri con ben altro rispetto.