20 ottobre 2010

Letture luglio/agosto 2010 - terza parte


Picture by Iguana Jo.
Carlo D'Amicis - Escluso il cane
Qualche post fa parlavo di romanzi fighetti, intendendo con questo termine quelle opere in cui la presunzione dell'autore (che questa sia ideologica, artistica o retorica ha in fondo poca importanza) impedisce al lettore di godere appieno del libro che ha tra le mani.
Escluso il cane rientra a pieno titolo in questa definizione.
Ci rientra perché l'autore piega qualunque pretesa di realismo all'esigenza primaria di comporre un'opera fortemente ideologizzata.
Ci rientra per la presenza di un protagonista caratterizzato solo per i suoi difetti, che si vorrebbero magari surrealmente divertenti, ma che alla lunga risultano solo irritanti.
Ci rientra per la sovrabbondanza di spunti problematici - ma tanto, troppo, ammiccanti - che l'autore innesta nel corpo del romanzo senza un approfondimento degno di questo nome (la relazione del protagonista con il suo compagno, con la madre, con il commercialista; la moglie e la figlia del dottore; il sottobosco criminale; lo stesso cane del titolo).

In effetti per quanto l'idea forte del romanzo (il fondamentalismo de noatri, la fede dogmatica, il cinismo cattolico romano) sia condivisibile e apprezzabile, non è certo sufficiente a tenere in piedi un romanzo che stenta a reggersi sulle esili gambe della trama giudiziaria da una parte e del romanzo di formazione dall'altra. Se poi a questi difetti si aggiunge l'idea, non so se dell'editore o dell'autore stesso, di presentare Escluso il cane come un romanzo spiritoso, quando il presunto umorismo tende invece al patetico, si arriva forse a capire la delusione provata da questo lettore.
Un'ultima nota sulla scrittura di Carlo D'Amicis. La scelta di uno stile personale è sempre apprezzabile, non m'era però mai capitato di imbattermi in una tale quantità di parentesi all'interno di un romanzo. Arrivato a fine lettura posso dire che utilizzare l'inciso come unico tratto caratterizzante la propria scrittura non mi pare sia stata una scelta troppo felice.


Stephen King - Shining
Per la lettura di Shining devo ringraziare Elvezio Sciallis, che sulle pagine di Malpertuis ha invitato i suoi lettori a una discussione sul romanzo.
Con l'eccezione della saga della Torre Nera, che sto leggendo in questi mesi, la mia esperienza con i romanzi di Stephen King risale a parecchi anni fa. Avevo più o meno vent'anni quando lessi una manciata dei suoi romanzi. Ma Shining ancora mi mancava. Del resto avevo visto il film, quindi…

La storia della famiglia Torrance credo sia ormai nota ai più. Ma leggerla nella sua versione originale è stata comunque una piacevole esperienza.
Tra le note positive del romanzo c'è l'indubbia capacità di Stephen King di far crescere la suspance, dosando perfettamente gli avvenimenti, calibrando al millimetro i momenti di tensione e sviluppando la storia in un crescendo vertiginoso fino alla risoluzione finale della vicenda.
Certo, l'inizio può apparire un po' lento, quasi traballante nel suo incedere sincopato, due passi avanti e un'occhiata al passato, una sosta di riflessione e uno sguardo laterale. Ma poi la vicenda ingrana, le pagine scorrono veloci, l'azione si fa incalzante.
In effetti un dubbio mi ha accompagnato per buona parte della prima metà del romanzo: se le mie aspettative, in qualche modo frustrate dal passo estremamente lento del racconto, dipendessero dalla conoscenza pregressa di quel che sarebbe successo più avanti. Tanto da non vedere l'ora di assistere alle vicissitudine dei Torrance alle prese con l'Overlook Hotel per partecipare - finalmente! - all'esplosione delle relazioni tra i vari personaggi.

Tra i difetti di Shining vanno evidenziati la ricorsività di certe immagini, che se da un lato costituiscono un legame tra le varie fasi dell'evoluzione dei personaggi (penso per esempio alle vespe, reali o metaforiche, che accompagnano il lettore per tutto il romanzo, o all'alcolismo come epitome di ogni dipendenza, al cui riferimento non sfugge alcun personaggio), dall'altra risultano fin stucchevoli nella loro meccanicità.
Se l'abuso di certe immagini e situazioni appesantisce il passo del romanzo, quello che secondo me è il difetto principale di Shining rimane l'ambiguità con cui King tratta la degenerazione di Jack Torrance. O, per meglio dire, la risoluzione dell'equivoca ambiguità in cui l'autore infila a forza il suo protagonista.
La discesa di Jack Torrance nell'inferno della paranoia è resa magistralmente. Il lettore assiste impotente e partecipe alla progressiva distruzione di ogni freno inibitore alla furia atavica che lo contraddistingue. Stephen King è molto abile a centellinare ogni informazione che possa far luce sulle cause e le motivazioni che muovono il suo protagonista. Proprio per questo motivo non si capisce perché l'autore non riesca - o non voglia - fare il passo definitivo e condannare Jack alla sua dannazione personale, e decida invece di attribuire ogni responsabilità delle sue azioni allo spirito oscuro che domina l'Overlook.
Quanto sarebbe stato più potente e disturbante l'immagine di un padre che insegue il figlioletto sapendo benissimo quel che sta facendo?
Io credo che per la redenzione finale di Jack Torrance siano intervenuti un paio di fattori non secondari. A me piace pensare che la sovrapponibilità biografica tra autore e personaggio deve aver costituito un legame non facile da tagliare, ma poi, più razionalmente, penso alla considerazione, tutt'altro che marginale, sulla commerciabilità della sua narrativa, che Stephen King ha sempre avuto ben chiara nella sua carriera. Dopotutto un finale che limita il coinvolgimento morale del lettore ai minimi termini è decisamente più consolante - e quindi vendibile - di uno che chiede allo stesso lettore di mettere in dubbio le proprie certezze riguardo certi legami famigliari.
E poi naturalmente c'è sempre la possibilità che, con certe premesse, quello fosse l'unico risultato possibile. Del resto non ricordo di aver mai visto Stephen King muoversi al di fuori di una gabbia morale decisamente polarizzata e riconoscibile. Non per nulla i sui personaggi più memorabili si situano sempre in quella fascia d'età compresa tra l'infanzia e l'adolescenza, in cui etica e morale sono perfettamente sovrapponibili e il dubbio si limita all'aspetto più superficiale di qualsiasi scelta.

In ogni caso Shining, pur letto a oltre trent'anni dalla sua pubblicazione, rimane tuttora una lettura piacevole.
Forse soprattutto per chi, come me, pratica il genere horror solo lateralmente e nemmeno troppo spesso.

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